Sei rocciatori, impegnati sull’appennino abruzzese, rischiano la vita ogni giorno. Il pericolo è la quotidianità, il faccia a faccia con la morte è il loro lavoro. Thomas (Marco Giallini) può gioire, è appena diventato padre. Dopo neanche 24 ore dal lieto evento, Ivan, suo collega da oltre quindici anni, perde la vita in un incidente. Il ritorno a casa è dei più traumatici: la famiglia è distante, il lavoro è bloccato, la paga è dimezzata e l’unica soluzione sembra l’alcool. Ermanno (Antonio Gerardi), un vecchio collega rocciatore, oggi imprenditore, gli offre – nonostante gli attriti del passato – l’opportunità di tornare a lavorare su un cantiere nel cuore di una piccola località nel chietino. L’obiettivo è quello di posizionare prismi ottici al fine di effettuare rilevamenti, in vista di un nuovo - contestatissimo - traforo alle spalle del paese. La protesta degli abitanti e le condizioni sempre più critiche del terreno in questione porteranno Thomas e il suo collega Alessandro (Alessandro Tiberi) ad affrontare scelte del tutto inaspettate. Il terzo lungometraggio di Stefano Chiantini – all’esordio sul grande schermo undici anni fa con Forse sì, forse no – fa ben sperare, per via delle splendide location offerte da Villa Santa Maria, patria dei cuochi e nota perla della Val di Sangro. La naturale scenografia, però, non è tutto e anzi quasi sembra eccessiva per le trame vuote o mal dirette di un film come Storie Sospese. Di riprese eccezionali ce ne sono eccome: dalla "Penna" (rilievo caratteristico del luogo) al mastodontico viadotto bianco che sovrasta il paese, gli spunti estetici non mancano. Il soggetto offriva in qualche caso spunti interessanti, come il bivio che Thomas e Alessandro devono affrontare: la scelta fra lavorare a occhi chiusi di fronte alla scelleratezza di un progetto suicida o porsi dalla parte degli abitanti del paese. Allora dov’è la falla del film? Anzitutto nei silenzi: troppi, davvero, per un film che avrebbe necessitato di ritmi più serrati e di una sceneggiatura meno statica e minimal. Poi la cura tecnica: dalle musiche - la mano di Piernicola Di Muro non lascia il segno, palesandosi solo in momenti isolati della pellicola - alla fotografia, che lascia spesso a desiderare, specie quando le scene in notturno sembrano totalmente appannate piuttosto che “aggiustate” in post-produzione. Il cast non esplode: lo stesso Giallini, se posto al di fuori dell’ambito commediale, risulta fine a se stesso. E se il suo personaggio è poco caratterizzato, figuriamoci quelli degli attori secondari. I ruoli di Giovanna (Maya Sansa), una maestra d’asilo sfrattata dall’operazione “traforo” e del geometra Bucci (Giorgio Colangeli) sono gli unici in grado di poter sviluppare la trama in maniera più approfondita, eppure vengono raccontati con estrema superficialità. Il finale cerca di emozionare, ma invano, senza chiarire molti interrogativi ampiamente esplicabili nel corso del film. Il messaggio di chiusura, esposto all’inizio dei titoli di coda, invece ha del positivo e combatte tutte quelle speculazioni edilizie operate nei tanti territori di provincia ai danni del cittadino. I ringraziamenti finali lasciano invece un velo d’ambiguità alla denuncia stessa, regalando allo spettatore un film in fondo evitabile.