Nel deserto di Atacama, in Cile, si intrecciano a soltanto a poche miglia di distanza le vite di persone molto diverse tra di loro, ma che hanno in comune una ricerca del passato. Nella desolata località ha infatti luogo uno dei telescopi più alti del mondo, tenuto in grandissima considerazione dagli astronomi locali e internazionali che cercano nuove stelle ormai probabilmente estinte quando la loro luce giunge ad occhio umano. Al contempo il terreno arido cela nascosti dopo decenni i corpi di molti prigionieri politici uccisi durante la dittatura di Pinochet, con anziane donne che ancora vagano alla ricerca dei resti dei loro cari perduti. Il regista Patricio Guzmán torna ancora una volta a indagare le ferite del suo Paese, dopo esser salito all'onore delle cronache festivaliere con la trilogia di documentari Battaglia del Cile, realizzata negli anni '70 e continuata a livello sociale e ideologico nella sua carriera più recente. Nostalgia della luce, penultimo lavoro di Guzman datato 2010 e vincitore dell'European Film Awards nella sezione apposita, opta per rischiosi parallelismi che mettono a confronto astronomi, archeologi e persone comuni, scavando nel rimosso e nei pensieri personali di questi individui così distanti ma paradossalmente accomunati dai loro obiettivi. Il docudrama, accompagnato spesso dalla voce narrante dello stesso cineasta, sceglie uno stile apparentemente algido e statico, quasi impersonale, che però nel procedere del narrato-mostrato cattura con rispetto emozioni dolorose e sincere che giungono sullo schermo con estrema naturalezza. E poco importa che la parte "stellare" sia solo una sorta di espediente intelligente e privo di informazioni tecniche rilevanti (i fotogrammi delle costellazioni ogni tanto rasserenano la carica amara della visione), poiché il messaggio che traspare da questi novanta minuti è, e voleva essere, di ben altro tipo: atto a rammentare il ricordo di vittime ancora senza pace.