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Joker - Wild Card

11/09/2015 11:00

Mattia Caruso

Recensione Film,

Joker - Wild Card

Las Vegas come inferno da cui fuggire, trappola luminosa e chiassosa per accaniti perdenti, ultima spiaggia per un'umanità fotografata in tutta la sua sfavillan

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Las Vegas come inferno da cui fuggire, trappola luminosa e chiassosa per accaniti perdenti, ultima spiaggia per un'umanità fotografata in tutta la sua sfavillante miseria. Sarebbe arduo elencare tutti quei film che hanno fatto della caotica città nel deserto l'emblema e il motore stesso di sofferte cronache di sconfitta, storie di dannazione consumate tra gioco d'azzardo, prostituzione, alcool e droga. Joker – Wild Card di Simon West non fa eccezione adagiandosi nel solco ormai logoro tracciato dai film che l'hanno preceduto.


Remake del quasi dimenticato Black Jack, da un romanzo di William Goldman (qui ancora sceneggiatore) con un Burt Reynolds rassegnato al suo destino di giocatore compulsivo, il film di West cala nella parte del protagonista niente meno che il divo dell'action Jason Statham in un ruolo tanto inedito quanto decisamente ambiguo. Nick Wilde ha un problema col gioco d'azzardo, fa la guardia del corpo per ricchi clienti e tutto quello che vuole è vincere abbastanza per potersene andare lontano, in Corsica, via da Las Vegas (come il disperato Ben Sanderson di Nicolas Cage). Al pari del protagonista del film di Mike Figgis neppure Nick si salva dall'autodistruzione, ingabbiato com'è da catene che lo tirano sempre più a fondo. Forse aiutare l'amica Holly, prostituta seviziata dal rampollo di una potente famiglia mafiosa, è la carta giusta da giocare per il proprio definitivo riscatto. O forse no.


Noir mascherato da thriller, che distilla l'azione centellinandola in piccole, scarne scene madri, è proprio sul minimalismo della messa in scena, sulla linearità della trama, su una prevedibilità senza svolte sostanziali – smaniosa di sbrogliare al più presto una matassa prevedibile – che punta o vorrebbe puntare Joker, rischiando, pericolosamente e più di una volta, di confondere troppo ingenuamente la semplicità col banale stereotipo, la sottrazione con la mancanza di una solida visione d'insieme capace di amalgamare e tenere a bada suggestioni spesso agli antipodi. Tra echi opachi di Scorsese e Soderbergh, in un' eterogeneità spesso invadente, ecco allora che l'ambiguità sostanziale dell'operazione finisce col riassumersi a pieno nell'immagine di Statham - mitizzato eroe contemporaneo tutto d'un pezzo - qui caricato di una tragicità inedita, pericolosamente vicino alla figura del perdente senza possibilità di redenzione. Un' interpretazione convincente ma in parte stemperata dai maldestri tentativi di una regia che cerca di condensare l'anima nera del dramma all'action puro, la figura positiva e carica di eroismo del protagonista all'uomo sconfitto e tormentato in un corto circuito che non sempre riesce a sanare tutte le contraddizioni, tutte quelle sfumature capaci di rendere memorabile un personaggio e grande una storia.


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