"È stato stimato che che oltre 100.000 opere d'arte prese dai nazisti non siano mai ritornate ai legittimi proprietari". Parte da questo dato - tragico nella sua semplicità - uno dei motivi scaturenti la realizzazione di Woman in Gold, film ispirato alla storia vera di Maria Altmann che negli anni '90 ha lottato per oltre un decennio al fine di ritornare in possesso del Ritratto di Adele Bloch-Bauer di Gustav Klimt, un dipinto che ritraeva sua zia, confiscato dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Operazione quindi dai tratti pseudo-biografici (seppur con diverse libertà narrative rispetto a quanto realmente accaduto) diretta dallo specialista Simon Curtis, che dopo una lunga gavetta in tv aveva esordito sul grande schermo proprio con Marylyn, ispirato alla vita della grande diva. E, a proposito di dive, la protagonista di questo suo nuovo lavoro è la grande Helen Mirren, affiancata da Ryan Reynolds e da un folto cast di comprimari d'eccezione (Katie Holmes, Jonathan Pryce, Daniel Bruhl e Charles Dance). Maria Altmann, ormai anziana, presenzia al funerale della sorella. La donna scopre alcune lettere, in possesso della deceduta, che proverebbero come il famoso quadro di Gustav Klimt conosciuto come "La donna in oro", esposto al museo Belvedere di Vienna, sia in realtà legalmente di proprietà della sua famiglia. Maria, austriaca di nascita e costretta a fuggire negli Stati Uniti in seguito all'arrivo dei nazisti, è determinata a rientrare in possesso del dipinto: la donna in esso raffigurato rappresenta infatti l'amata zia Adele, morta in giovane età . Con l'aiuto del giovane avvocato Randol Schoenberg la donna è determinata a lottare con le leggi austriache, anche se questo vorrà dire riaprire vecchie ferite mai del tutto riemarginate. Una splendida confezione per una storia affascinante in grado di commuovere e mantenere vivo il ricordo dei tragici fatti della seconda guerra mondiale. Woman in Gold è un film che ha tutte le caratteristiche per conquistare il grande pubblico, sia per la forza emozionale sia per una messa in scena che, muovendosi tra passato (numerosi e di una certa lunghezza i flashback della protagonista) e presente, riesce a mantenere coeso il corretto mix di dramma e tensione. Sembrerebbe tutto perfetto, senza dimenticare le ottime prove dei protagonisti (la Mirren è una certezza, mentre Reynolds è in una delle migliori performance recenti) e dei vari comprimari. Ma l'idillio dorato si sgretola in parte proprio di fronte alla sue esibita ricerca della perfezione stilistica. Simon Curtis costruisce un'operazione formalmente inattaccabile alla quale però manca personalità , così come si evince soprattutto dalle statiche scene processuali, incapaci di trasmettere le giuste vibrazioni che il contesto avrebbe richiesto. Se quindi va dato atto al film di svolgere il suo compito con la corretta precisione, la mancanza di genuinità alla fine si fa sentire, pur non togliendo il piacere di una visione avvincente ma incostante.