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The Walk

21/10/2015 11:00

Roberto Semprebene

Recensione Film,

The Walk

Robert Zemeckis mette in scena il racconto di un sogno trasformato in realtà, l’attuazione dell’audace colpo del funambolo francese Philippe Petit, che nel 1974

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Robert Zemeckis mette in scena il racconto di un sogno trasformato in realtà, l’attuazione dell’audace colpo del funambolo francese Philippe Petit, che nel 1974 compì la storica impresa di tendere un cavo fra le Twin Towers del World Trade Center e percorrerlo senza alcun sistema di sicurezza. The Walk è il racconto della genesi di questo sogno audace, impossibile invero, almeno fino a quando Petit non ha dimostrato il contrario. Molto si potrebbe dire sull’impresa in sé, per altro mirabilmente raccontata nel documentario di James Marsh, Man on Wire, ma The Walk in realtà fa qualcosa di più e di diverso dal limitarsi a celebrare l’audacia, il coraggio e l’abilità di Petit.


Fin dalle battute iniziali il film acquisisce un respiro di magia e levità, con lo stesso Petit - impersonato dal sempre bravo Joseph Gordon-Levitt – a fare da voce narrante di una favola moderna in cui si mescolano ambizione e sentimenti, predestinazione e caso, destino e volontà. Conosciamo dunque un Philippe bambino che resta incantato dai numeri dei funamboli del circo, tanto da decidere di diventarlo a sua volta. I preziosi consigli del decano di questi artisti (Ben Kingsley), insieme all’amore di Annie (Charlotte Le Bon) e alla complicità di un manipoli di pochi, fidati, amici capitanati da Jean-Louis (Clement Sibomy) porteranno Philippe alla massima espressione di un’arte pericolosa quanto ipnotica e portatrice di un senso estremo di libertà.


Il film ha il tenore di una fiaba e tale levità, evidentemente ricercata da Zemeckis, comporta un andamento molto lineare e privo di veri climax emotivi per tutta la prima parte del film. La percezione è un po’ quella che si ha guardando Il Favoloso Mondo di Amelie: tutto ha un che di magico e dal circo agli artisti di strada, dal rapporto con il maestro/secondo padre all’amore per Annie, Philippe vive in funzione dei suoi sogni. Anche se nel perseguirli può passare per pazzo o egoista, la passione che trasmette contagia personaggi e pubblico. La sospensione emotiva fin qui descritta è però solo il preludio di un’esplosione che coinvolge lo spettatore quando Petit mette in atto il suo piano: già riuscire a piazzare il cavo è un’impresa da cardiopalma ma le sequenze, con il funambolo sospeso a 417,5 metri, nella consapevolezza che la finzione scenica rimanda ad un’impresa realmente compiuta, sono davvero emozionanti. A questa emozione contribuisce una volta tanto il 3D che accompagna la storia e che è correttamente utilizzato per ottenere l’effetto vertigine che la spaventosa altezza degli edifici deve trasmettere. Le torri stesse sono poi personaggi concreti e primari della storia: ossessione del funambolo, sono il simbolo della conquista di una libertà più mentale che fisica, la capacità dell’uomo di andare oltre i suoi limiti. Una struttura totemica che nella mente di Petit lo chiama all’impresa e ne diviene parte, vive dell’anima che il gesto artistico gli dona e, al pari dell’impresa, rimane per sempre, a prescindere dall’11 settembre e dai suoi spettri.


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