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Amici miei

09/11/2015 11:00

Alessia Bertolino

Recensione Film,

Amici miei

La Firenze degli anni '60 fa da palcoscenico alle rocambolesche vicende di 5 amici inseparabili

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La Firenze degli anni '60 fa da palcoscenico alle rocambolesche vicende di cinque amici inseparabili: Raffaello Mascetti, nobile squattrinato; l'architetto Melandri, inguaribile romantico; il giornalista Giorgio Perozzi, narratore intradiegetico del film; Guido Necchi, proprietario del bar che fa da punto di incontro. Al quartetto si inserirà poi il brillante - ma annoiato - primario ospedaliero Alfeo Sassaroli. Adulti solo di aspetto e mai realmente cresciuti, gli allegri mattacchioni tentano di sfuggire alle amarezze della vita affrontandola come fosse un gioco.


Dal brillante soggetto di Pietro Germi, tragicamente scomparso nel 1974 , nasce Amici Miei, la commedia (all') italiana per eccellenza diretta da Mario Monicelli. La pellicola uscì in sala circa un anno dopo la morte di Germi grazie alle abilità registiche di Monicelli, grande esponente e in parte iniziatore di un genere tutto italiano. L'obiettivo della sceneggiatura è chiaro: mettere in luce le difficoltà e i disagi di cinque soggetti apparentemente spensierati e poi, bruscamente, eclissare tutto per lasciar spazio ad un'altra "zingarata". Un film composto di gag e spezzoni esilaranti, ma non solo.


Amici Miei è strutturato su un continuo gioco di contrasto: da una parte la macchina da presa mostra, divertita, una dimensione di coesione data dalla complicità dei membri della banda scalmanata, dall'altra parte la stessa si incupisce e punta il dito contro ognuno dei protagonisti mostrandoci, prepotentemente, le misere condizioni di chi sperpera ogni bene - materiale e non - di chi non vuole assumersi alcuna colpa o responsabilità; di chi si è comportato da bambino troppo a lungo e adesso ne sconta le pene. Ma i cinque inseparabili compari non riescono a prendere sul serio nulla, neanche la morte; anzi questa si trasforma nel pretesto per architettare un nuovo scherzo. Una realtà grottesca, quella immortalata da Germi e Monicelli, che diverte e però allo stesso tempo insegna qualcosa. Perché in mezzo a tutte le risate e le beffe rimane tanto, proprio tanto sconforto: alla fine ognuno è lasciato a se stesso. Si capisce quindi come Amici miei voglia essere una commedia brillante. Tuttavia, la chiave di comprensione di tutto sta proprio in questo "umorismo nero". Sotto la maschera della burla lo spettatore comprende che per ridere così tanto bisogna allo stesso modo capire la spinta propulsiva che è il male di vivere. E Germi e Monicelli si dimostrano in questo senso grandi maestri.


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