Una vera e propria ovazione da parte del pubblico e la consacrazione da parte dei giudici: Quel fantastico peggior anno della mia vita (pessimo adattamento nostrano dell'originale Me and Earl and the dying girl) arriva in Italia dopo aver fatto sfracelli all'ultima edizione del Sundance Film Festival. Il film, vincitore del Gran Premio della giuria e di quello del pubblico, è tratto dall'omonimo romanzo di Jesse Andrews (autore anche della sceneggiatura) ed è la seconda prova su grande schermo di Alfonso Gomez-Rejon, già assistente regista di colleghi ben più famosi come Ben Affleck e Alejandro González Iñárritu. Lo script, e non si tarderà a capirlo a fine visione, è apparso nel 2012 nella famigerata Black List dei migliori soggetti ancora non realizzati. Greg Gaines è un adolescente problematico, incapace di costruire rapporti con i suoi coetanei e con il sesso opposto. Il suo unico amico è l'afroamericano Earl, con il quale è legato da un'immensa passione per il cinema europeo: i due infatti realizzano insieme dei cortometraggi ispirati ad alcuni dei più grandi classici d'autore. Un giorno la madre lo costringe a stringere amicizia con Rachel, una sua compagna di classe alla quale è stata diagnosticata una rara forma di leucemia. L'inizio di quello che sembra un rapporto imposto si trasformerà presto in una sincera e profonda amicizia, ma le condizioni della ragazza cominceranno a peggiorare sempre più velocemente. Furbo ma con grazia, toccante ma non (troppo) ricattatorio, a tratti divertente ma non stupido. Il sentimento platonico e inespresso che assume forma filmica di raro equilibrio - concedendo alle lacrime il tempo di sgorgare senza patemi e lasciando un sapore amaro, non privo di dolce speranza nel finale - è una magia assai rara da scovare nelle diverse produzioni omologhe. Perché Quel fantastico peggior anno della mia vita è un'opera che non urla il dolore ma lo accoglie in una placida rassegnazione. Non si adagia sui classici luoghi comuni: qui la (presumibile dall'incipit) love-story tra i due protagonisti scatena sensazioni ed emozioni che non si addentrano mai nell'universo del romanticismo stucchevole. Alfonso Gomez-Rejon ha dedicato il film alla memoria del padre scomparso e forse proprio in questo atto d'amore si possono comprendere le particolari scelte stilistiche, atte sì a commuovere ma con un'inventiva di stampo dichiaratamente indie, che rendono la narrazione fresca e spumeggiante. Tra i numerosi corti realizzati da Greg ed Earl, i filmati in stop-motion e una sottile ironia/parodia della vita scolastica americana, la visione scorre come un lampo senza mai annoiare e appassionando magneticamente lo spettatore alla vicenda. Merito anche delle convincenti prove di Thomas Mann e Olivia Cooke, sofferti e credibili nella costruzione di un rapporto come non mai segnato dal destino.