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Partisan

18/11/2015 12:00

Beatrice Po

Recensione Film,

Partisan

Una favola nera sul ruolo dell'educazione nella società, con un grande Vincent Cassel

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È una favola nera quella con cui il regista australiano Ariel Kleiman esordisce al lungometraggio. Partisan – questo il titolo della pellicola, scritta da Kleiman assieme alla compagna Sarah Cyngler - vede al centro della narrazione la figura carismatica e autoritaria di Gregori, interpretato da un Vincent Cassel intenso e capace. Come in una fiaba, Gregori è l’orco che silenziosamente ma con ostinazione mette insieme il suo piccolo esercito di bambini, guidandoli passo passo lungo la strada che li porterà a diventare dei perfetti assassini in miniatura. Per loro, dei moderni Oliver Twist catapultati in un universo distopico, non c’è altro destino; nessuna speranza se non quella di accettare le regole di quel piccolo mondo e abitarlo senza porsi troppe domande su ciò che esiste all’esterno.


La vicenda, ambientata ai margini di una città decadente, prende vita all’interno di una comunità isolata dal mondo esterno. Creatore e leader assoluto di questo microcosmo distopico, Gregori è un uomo affascinante e rispettato che accoglie in questo luogo giovani donne in stato interessante e madri sole con i loro bambini. Su tutti loro l'uomo si erge come unico capo, unica figura maschile della comunità; vero e proprio mentore, si dedica anima e corpo all’educazione dei membri più giovani. Gregori riempie le loro giornate di attività - dalle faccende domestiche ai giochi - ma quello che davvero vuole fare è istruire i bambini a diventare dei killer perfetti. Piccoli soldatini freddi, addestrati e pronti a tutto, soprattutto a difendere il loro isolamento, il loro piccolo spazio chiuso da ogni intruso esterno, da ogni cattiva influenza di quel mondo che Gregori dipinge ai suoi prediletti come cattivo e ingiusto. Il pupillo di Gregori è Alexander (Jeremy Chabriel), un bambino curioso e intelligente che spicca sugli altri per il suo innato talento nel portare a termine le missioni che gli vengono assegnate. Ma la sua intelligenza è un’arma a doppio taglio nella piccola campana di vetro dove è cresciuto: infatti presto Alexander comincerà a farsi delle domande su quel mondo sconosciuto che esiste fuori dalla comune. C’è altro che lo aspetta? Alexander non è più solo un esecutore perfetto ma riesce a disobbedire, a sollevare quesiti e mettere in crisi le ferree consapevolezze del suo leader. Le domande che il bambino inizia a porre segneranno un cambiamento all’interno di Gregori, il quale inizierà a guardare con sospetto e antagonismo quel bambino da lui trattato fino a quel momento come un figlio.


La favola nera che Kleiman porta sullo schermo è quella di un mago, un incantatore che plasma da zero un piccolo mondo chiuso dove è l’unico capo e padrone. Partisan è una parabola sul pensiero autonomo o, più che altro, sul modo per raggiungerlo, assumendosi il rischio di mettere in dubbio tutto quello che fino a quel momento è noto come casa. È indubbia la capacità tecnica di Kleiman, che evita la strada della narrazione didascalica per intraprenderne una più fotografica, dove sono le immagini a parlare e spiegare – con il loro andamento lento - i ritmi e la dimensione della vita nella comune. Questo ritmo lento (forse eccessivamente auto-compiaciuto in certi momenti) viene bilanciato dalla seconda parte della pellicola, decisamente più appassionante: quella cioè in cui la trama si sviluppa attraverso gli occhi di Alexander (Jeremy Chabriel è espressivo al massimo) e dove si passa da una rappresentazione più descrittiva della vicenda a una più coinvolgente e reale. L’ottima performance di Vincent Cassel impugna le redini della pellicola; la sua performance è, infatti, potente e allo stesso tempo fragile nel delineare la figura di un uomo che sotto un apparente atteggiamento paterno nasconde una dose di violenza inespressa pronta ad emergere in superficie.


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