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In fondo al bosco

20/11/2015 11:00

Samantha Ruboni

Recensione Film,

In fondo al bosco

5 novembre 2010, è la festa dei Krampus...

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5 novembre 2010, è la festa dei Krampus. Ogni anno gli abitanti di un villaggio montano nella Val di Fassa, sfilano per le strade travestiti da Diavoli. La leggenda vuole che tra le maschere ci sia anche il Diavolo in persona, che rapisce i bambini cattivi. Già due episodi di rapimento sono avvenuti nel corso degli anni e, durante la festa del 2010 scompare Tommi, un bambino di 4 anni. Cominciano le ricerche. Il primo sospettato è il padre Manuel (Filippo Nigro), a causa dell'alcolismo e dei precedenti di violenza. Anche se non vengono raccolte prove sufficienti per incarcerarlo, per l'intero paese è lui il colpevole. Gli resta accanto solo la moglie Linda (Camilla Filippi). Cinque anni dopo viene ritrovato in un cantiere un bambino senza nome né documenti: il DNA coincide con quello di Tommi e anche le autorità confermano, così Manuel può riabbracciare suo figlio e togliersi finalmente il peso del senso di colpa e delle accuse della collettività. Linda invece fatica ad accettare quel bambino così silenzioso e inquietante, violento e oscuro, che sospetta non sia affatto Tommi. Così Manuel si troverà di nuovo da solo contro tutti e contro le credenze che vedono nel nuovo Tommi la reincarnazione del diavolo.


Prendendo spunto da fatti realmente accaduti e dalle credenze di paesini sperduti, Stefano Lodovichi mette in scena un prodotto piuttosto interessante. Il regista crea un mashup di tutti gli eventi della cronaca nera italiana degli ultimi anni, da Cogne alle Bestie di Satana, e li sposa con le credenze popolari più dark, come quella dei demoni che si nascondono nei boschi. Il risultato è una storia narrata con dedizione. Le valli trentine reincarnano le paure delle leggende più oscure (per lo più del nord-est della penisola); le atmosfere sono inquietanti e le location scure e buie ricordano la natura di Goya e Böcklin. La storia narra la paura per il diverso, il rifiuto di accettare qualcuno e il vederci qualcosa che non esiste. Viene ben illustrata la violenza delle piccole e chiuse comunità di paese e la loro incapacità di comprendere ciò che è ai loro occhi inspiegabile. Il meccanismo narrativo è intrigante: la linea del presente si svolge in parallelo con quella del passato, intervallata da flashback di personaggi che erano presenti nel bosco. E proprio questi salti temporali sono la chiave di lettura del film e rivelano, in un montaggio alternato, la verità dietro al mistero del piccolo Tommi.


Stefano Lodovichi - al suo secondo lungometraggio, dopo l'esordio Aquadro nel 2013 - esibisce in questa seconda prova una regia un po' scolastica e schematica. Chi ha paura di osare è anche la sceneggiatura, che risulta in alcuni punti timorosa e convenzionale. Dal punto di vista interpretativo Filippo Nigro (reso famoso dalla sua interpretazione in A.C.A.B, a fianco di Pierfrancesco Favino) riesce qui a calarsi perfettamente nel dolore di un padre disperato, ingiustamente colpevolizzato e pronto a dar il suo affetto. Il resto del personaggi, però, non vengono sviluppati altrettanto bene e mancano quindi di credibilità e verosimiglianza.


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