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Regression

03/12/2015 12:00

Giovanni Miele

Recensione Film,

Regression

Dopo i successi di Mare Dentro (vincitore dell'Oscar come miglior film straniero nel 2005) e Agorà, il regista cileno Alejandro Amenábar torna all'horror, intri

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Dopo i successi di Mare Dentro (vincitore dell'Oscar come miglior film straniero nel 2005) e Agorà, il regista cileno Alejandro Amenábar torna all'horror, intriso di atmosfere da thriller psicologico, genere che gli ha fatto conquistare il favore del pubblico internazionale nel 2001 con The Others.


Nel 1990, in una piccola cittadina sulla costa del Missouri, il detective Bruce Kenner (Ethan Hawke) è l'agente più promettente del suo distretto. La routine del commissariato è improvvisamente sconvolta dall'arrivo di John Gray (David Dencik), un uomo conosciuto da tutti, tormentato dall'accusa di aver abusato della figlia adolescente Angela (Emma Watson), rifugiatasi nel frattempo in un convento sotto la protezione del reverendo Murray (Lothaire Bluteau). Gray non ricorda nulla, ma non riesce a negare l'accaduto e se ne assume la colpa. Il detective Kenner è intenzionato a indagare a fondo e, aiutato dallo psicologo Raines (David Thewlis), sottopone l'uomo a intense sedute di ipnosi regressiva. I confusi ricordi di John Gray appaiono ancora più oscuri e cominciano a mescolarsi a quelli della nonna e del fratello maggiore della ragazza. Il detective si troverà costretto a confrontarsi con i tenebrosi incubi della psiche umana e con il mondo dell'occulto, popolato da sette sataniche e riti demoniaci.


Regression si ispira alle tante storie di cronaca che tra gli anni Ottanta e Novanta sconvolsero i piccoli centri degli Stati Uniti: il diffondersi delle sette sataniche. Un vero e proprio fenomeno mediatico alimentato dalla superstizione e da una buona dose di ignoranza mista al bigottismo caratteristico delle cittadine statunitensi. Un fenomeno che generò al tempo una vera e propria psicosi collettiva per la paura del demonio, il terrore dell’occulto in costante contrasto con la forza della fede. Anche la salda personalità del detective protagonista finisce per essere intaccata dai turbamenti della collettività: in costante lotta fra le ragioni della razionalità scientifica, impersonata dallo psicologo, e quelle della fede, incarnate dal sacerdote del convento, Kenner proverà a salvare la povera anima della giovane Angela fino al punto di essere sopraffatto da quegli stessi incubi.


Queste le ottime premesse per un film che si rivela però riuscito solo in parte: i turbamenti collettivi, rappresentati piuttosto come paranoiche ossessioni, finiscono per risultare un banale pretesto per mettere ancora una volta in scena l’antica lotta tra fede e ragione. Il tema demoniaco non può non far pensare a classici del cinema americano degli anni Settanta come Rosemary’s Baby: ma se Polanski era riuscito a mostrare in modo efficace le ossessioni di una donna della upper class newyorkese come specchio di un’intera società, Amenábar resta troppo legato a una narrazione da horror televisivo anni novanta, dove la presenza malefica di turno si nasconde sempre dietro una porta che cigola (o in un fienile abbandonato). Non aiutano neppure le interpretazioni degli attori: il detective interpretato da Ethan Hawke è un uomo di mezza età vittima delle situazioni e la giovane e ambigua Angela di Emma Watson (l’Hermione della saga cinematografica di Harry Potter) non convince affatto nelle virginali vesti di vittima sacrificale. Va aggiunto infine che Amenábar non riesce a sfruttare nemmeno la forza di un colpo di scena finale, prevedibile e da copione, sebbene avesse dimostrato doti da maestro del genere nel precedente The Others.


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