Sebastien (Félix Bossuet), Cèsar (Tchéky Karyo) e Belle attendono il ritorno di Angelina. Sfortunatamente, l’aereo militare su cui la donna sta viaggiando si abbatte tra gli alberi della foresta, causando un incendio che lascia poche speranze di sopravvivenza: ma Sebastien è convinto che Angelina sia ancora viva e si mette prontamente alla sua ricerca. Durante l’arduo viaggio, intrapreso insieme alla sua compagna d’avventure Belle, incontrerà due persone che cambieranno la sua vita. C’è stato un periodo della sua carriera in cui Christian Duguay è uscito fuori dal mondo delle miniserie e dei film da tv per girare, nel 2007, Boot Camp, suo primo (e ormai non più unico) film per il grande schermo. Assistendo alla visione di questa nuova avventura di Belle e del suo piccolo padrone Sebastien, iniziata in maniera dignitosa grazie alla direzione di Nicolas Vanier (alla regia del primo capitolo), ci sembra di tornare proprio in quell’anno: quello che vediamo, mentre i fotogrammi scorrono davanti agli occhi, è semplicemente un film per la tv portato sul grande schermo. L’avviamento di quella che sembrerebbe essere destinata a diventare una trilogia (è infatti previsto un ulteriore episodio) lasciava che la natura fosse assoluta protagonista: un quadro in movimento in cui inserire lo snodo drammatico della conoscenza fra il bambino e il suo cane. Ma la superba bellezza dei verdi paesaggi che caratterizzano il piccolo villaggio francese viene, qui, relegata a scenografia esanime e poi asfissiata dalle fiamme di un incendio che ne storpia i colori e i disegni in maniera innaturale, in virtù dello spettacolo. Frattanto, l’elemento d’azione, calcolato per essere punto centrale del film, viene privato di una verosimiglianza che Vanier aveva dato al primo episodio nei momenti in cui se ne necessitava. L’evidenza che Duguay si senta a disagio con la cinepresa è fin troppo concreta, quando zoom improvvisi e bruschi movimenti di macchina ci stordiscono nell’impresa di seguire i suoi personaggi appena abbozzati. Sebastien è chiaramente bloccato nel confine tra il mondo dell’infanzia e quello dell’adolescenza: la sua ricerca è prima di tutto volta alla scoperta di un'identità e di un proprio passato, ma i personaggi che lo accerchiano e che costituiscono tasselli imprescindibili nella sua indagine sembrano rimanere confinati a stereotipi e nulla più. In primis la sua amata Belle, che stavolta rimane sullo sfondo e fatica a uscire dal ruolo di spalla sicura; laddove per “spalla” s’intende quel classico eroe possente e massiccio cui rivolgersi in caso di pericolo. Il didascalico buonismo che pervadeva Belle & Sebastien riusciva, nel bene e nel male, a farsi insegnante di una morale primigenia, non vergognandosi di affidarsi soltanto a un certo target di pubblico. Nel tentativo di rimpiazzare tutto questo con una genuina storia d’avventura si è azzardato troppo e Duguay rimane invischiato in un’opera sbiadita e priva di tono, un compromesso fra due generi che rimane indigesto e che difficilmente stuzzicherà anche i più piccoli. Il regista è eccessivamente precipitoso nel voler cancellare l’accento fiabesco da quella che dovrebbe essere una favola per famiglie, forse per riuscire ad abbracciare un target più vasto, ma non riesce a dare neanche un tocco di imprevedibilità all’avventura dei suoi protagonisti: un’avventura che, forse, avrebbe potuto non continuare.