Parigi, città delle luci e dell'amore, della moda e del burro. Città che, negli anni, è stata amata e rappresentata così tanto da diventare un cliché ormai indelebile nell'immaginario collettivo di chi Parigi la vive solo attraverso gli occhi di un turista, di un non-francese che si fa imbrogliare da immagini da cartolina. Ed è proprio contro questo stereotipo che Audrey Dana vuole combattere: l'attrice francese debutta alla regia con 11 donne a Parigi, del quale cura anche la sceneggiatura. La formula è quella delle commedie francesi che piacciono anche agli italiani. Undici figure femminili si muovono in una Parigi tinta di rosa, piena di musica e colori, ma anche di traffico ed elementi tutt'altro che positivi. Donne che sembrano sul proverbiale orlo di una crisi di nervi, ognuna con un disturbo psicosomatico da teatro farsesco (come quella che non riesce a tenere fermi i movimenti dello stomaco quando un uomo affascinante le si avvicina); donne che attraversano sfide quotidiane, problemi seri e complicazioni tipiche del genere. 11 donne a Parigi è questo: una galleria esagerata, fin troppo sopra le righe, di un gruppo di protagoniste che vorrebbero in qualche modo rivendicare la propria individualità contro gli stereotipi ma che sembrano - tuttavia - confermare proprio quei cliché tanto vecchi e stantii. L'intenzione iniziale di Audrey Dana viene a mancare in fase di realizzazione: la sua è una commedia a tratti divertente, ma molto spesso priva di nessi logici; esagerata nella messa in scena di problemi e situazioni che dovrebbero al contrario far sorridere. Un film evanescente come nebbia, che non rimane negli occhi e nella mente dello spettatore.