Le sorelle Sachi (Haruka Ayase), Yoshino (Masami Nagasawa) e Chika (Kaho) vivono da sole nella vecchia casa di loro nonna, dopo che sia la madre che il padre le hanno abbandonate. Al funerale dell'uomo, le tre ragazze conoscono la giovane Suzu (Suzu Hirose), loro sorellastra, che il padre ha avuto da un'altra donna. Sachi decide così di portare con sé Suzu e farla abitare assieme alle sorelle. A due anni da Like Father, Like Son, Hirokazu Koreeda torna in concorso al 68° Festival di Cannes con Our Little Sister, ispirato alla serie manga Umimachi Diary di Akimi Yoshida. Il regista giapponese torna a riaffrontare tematiche care al suo cinema e realizza una sorta di contraltare alla sua opera precedente. Se con Like Father, Like Son l'autore nipponico veicolava il dramma attraverso una riflessione composta e di estrema raffinatezza sul diritto e la responsabilità di amare qualcuno oltre il legame biologico, con Our Little Sister si torna nei territori di un melodramma in cui è proprio la famiglia e il suo senso e importanza a tornare al centro del racconto. Le tre sorelle Koda si prendono cura della loro piccola sorellastra dopo la morte del padre, ma le divisioni e i rimossi della famiglia rischiano di minare un precario equilibrio. Our Little Sister è certamente un film sul conoscere l'altro e sulla capacità di riconoscersi in un nucleo nonostante anni di lontananza. Ma Hirokazu Koreeda realizza soprattutto un'altra pellicola sull'amore, sull'affettività condivisa e sul bisogno dell'altro. La piccola Suzu, nuova entrata nel convivio femminile di cui si ritrova ospite, è portatrice di un legame con un passato doloroso e di un fantasma (quello del padre che il film non mostra mai nemmeno in fotografia) che le sorelle Koda faticano ad accettare e a rielaborare. E non è tanto l'indissolubilità del vincolo familiare salvare i rapporti, (anzi il film pare quasi dimostrare il contrario) ma il valore della persona stessa, il confronto tra vite e vissuti differenti che si ritrovano sotto lo stesso tetto. E Our Little Sister, con la consueta delicatezza e sensibilità di sguardo, mantiene sempre una distaccata eleganza di messa in scena e di regia, che non è mai retorica o inutilmente fredda ma un riuscito bilanciamento tra la presa emotiva e la narrazione pacata. Sono ancora i gesti minimi la cosa più importante nel cinema di Hirokazu, che dipinge con grazia quasi cristallina la complessità dei sentimenti, raccontando con lo stesso tono dimesso ma mai amorale sia il distacco e l'avvicinamento tra madri e figlie, sia il ritrovamento tra quattro sorelle pronte a conoscersi.