The Great Dictator torna in sala nei piccoli cinema d’essai per iniziare l’anno con la celebrazione pacifista per eccellenza. Restaurata, integrale e in lingua originale (con sottotitoli) grazie al magistrale lavoro della Cineteca di Bologna, che ne restituisce l’antico splendore, la pellicola, dopo decenni di barbarie dovute prima alla censura, poi al doppiaggio e all’adattamento poco coerente dei dialogisti italiani, rinasce. L’unica uscita pubblica del film, non mortificata, avvenne nel lontano 1972 a Venezia dove venne consegnato a Charlie Chaplin il Leone d’Oro: il film tornò in sala nella versione di 121 minuti, incassando più di 230 milioni di lire. Sir Charles Spencer Chaplin, inglese doc di adozione americana, fu uno dei maggiori interpreti del cinema muto, per il quale rimase nella storia con la maschera di Charlot il Vagabondo, emblema dell’alienazione umana ai tempi del boom post industriale. Dal circo Charles imparò l’arte del mimo che gli spalancò le porte del mondo dello spettacolo, una sua lunga gavetta che lo portò a trasportare nella settima arte ciò che aveva appreso dallo spettacolo dal vivo. Dal 1919, con la costituzione della sua casa di produzione, la United Artists Corporation, diede i natali a capolavori quali Il monello (1921), La febbre dell’oro (1925), Luci della città (1931) - primo film “sonoro” - fino a Il Grande Dittatore. Uscito del 1941, agli Oscar dell’anno successivo fece incetta di nomination, tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore e migliore colonna sonora grazie al geniale compositore e librettista statunitense Meredith Wilson, poi diventato autore di successo dei maggiori musical di Broadway. E come non ricordare l’altro genio, il direttore della fotografia Karl Struss, già Oscar nel 1929 con la pellicola Aurora di Murnau, entrato nelle grazie di Chaplin anche per i film successivi. Girato in gran segreto e distribuito negli States poco prima del loro ingresso in guerra, la pellicola è la prima interamente sonorizzata, in cui il regista e attore interpreta Adenoid Hynkel, il dittatore di Tomania (esplicitamente ispirato ad Adolf Hitler), e un barbiere ebreo perseguitato dai nazisti. La tragicomica satira sociale unita alle innovazioni tecniche in scena ne ha fatto uno dei capisaldi della storia del cinema, ancora oggi. Tutti i personaggi della pellicola sono le caricature degli uomini al potere al tempo del nazismo, dal fuhrer a Bonito Napolini e signora (Mussolini e Donna Rachele), Garbitsch nei panni di Goebbels, Herring in quelli di Goering e anche la segretaria personale di Hynkel, Eva Braun. L’inversione dei ruoli, tipica forma drammaturgica delle commedie brillanti della Hollywood agli albori, qui si presenta come tentativo drammatico di sovvertimento dell’ordine costituito, per regalare agli spettatori un barlume di speranza in grado di cambiare lo status quo del mondo. Infatti, sarà solo grazie allo scambio di persona che il barbiere, con una voce calda e cristallina, abbraccerà il suo pubblico nei panni del dittatore, proclamando libertà, uguaglianza e fratellanza per tutti gli uomini in terra. Che Chaplin giochi a pallone con il mappamondo nelle vesti del fuhrer o faccia la barba nel suo negozietto spartano, la grande musica classica lo accompagna in ogni movimento. Magistrale il lavoro di Wilson, che ha ripescato l’overture del Lohengrin di Richard Wagner, poi ripresa anche nella sequenza finale o la Danza Ungherese n. 5 di Brahms per le scene forse più famose dell’intero film. Il regista ha dichiarato con fermezza, molti anni dopo la fine della guerra, che se avesse anche solo immaginato come sarebbero andate le cose con gli ebrei e i campi di concentramento, non avrebbe mai girato il film, in quanto impossibile prendere con tanta leggerezza un’ecatombe dalle proporzioni bibliche. Dopo Il Grande Dittatore ci fu uno stop nella sua vita lavorativa lungo più di otto anni e fu l’ultima apparizione del vagabondo, scelta consapevole da parte di Chaplin: il suo personaggio più celebre sarebbe irrimediabilmente “morto” una volta che avesse parlato, ma era fortemente motivato a non tacere in quel momento così cruciale della storia, così come era quasi certo del fiasco commerciale dovuto ai divieti di distribuzione in Europa. Infatti, fino al 1945 fascismo e nazismo riuscirono a bloccare le sale di proiezione, solo l’Inghilterra, nonostante la tensione diplomatica con la Germania, riuscì a distribuirlo a Londra già nel ’41 contemporaneamente a New York.