Amy Ryan (Olga Kurylenko) è una studentessa universitaria fuori corso, che nel tempo libero lavora come controfigura per cinema e tv. Ha una relazione col suo docente universitario Ed Phoerum (Jeremy Irons) che, nonostante sembri essere l’amore della sua vita, scompare da un giorno all’altro senza lasciare più notizie di sé. Da questo momento inizierà fra i due una corrispondenza singolare. Quella dell’ultima fatica di Giuseppe Tornatore pare essere, da subito, una storia di fantasmi. In primis quelli di una Amy che, per vincere gli incubi del passato, passa le proprie giornate - un po’ per necessità e un po’ per malsano diletto - a “morire e poi riaprire gli occhi”. In secondo luogo, si inserisce e predomina il fantasma che, per lei, diviene la sua stella di riferimento: Ed, nelle sue apparizioni mediante apparecchi tecnologici e materiale cartaceo di lettere che vengono recapitate in perfetta (troppo) e inquietante sincronia coi pensieri della propria amata Amy, si rende simile proprio a quegli amletici spettri che assillano un tragico protagonista perseguitato da tutte le parti e su una diversa lunghezza d’onda rispetto al mondo. La ragazza, dal canto suo, s’appiglia con tutte le proprie forze ai residui di una figura intoccabile e distante (antitesi di colui che bacia e abbraccia nella scena d’apertura del film, in cui i due protagonisti sono a distanza, l’uno dall’altro, di pochissimi centimetri). I messaggi di Ed viaggiano in un flusso ininterrotto, a qualunque distanza, senza ostacoli o interruzioni: è questa inverosimiglianza a strappare tutto il fascino via da un’opera che, almeno nel primo tempo, poteva contare su un stimolante impianto narrativo. Si perde quella solidità che consisteva nell’aura di mistero e di enigma che rendevano La Corrispondenza un giallo avvincente, sebbene privo di contorti meccanicismi e tutt’altro che freddo. Nei primissimi e primi piani che soffocano la figura di Amy, e che creano un punto di vista vicinissimo a lei ma, contemporaneamente, mai congruente al suo, il ritmo del film assume i connotati di un mistery che fa del volto della Kurylenko il suo punto di forza, avvincente pur nella sua regia statica. Rimane, però, del tutto inspiegabile la scelta di inserire un plot twist così significativo nei primissimi minuti del film: abbandonando il suo punto di forza, quello del mistery, e mettendo a fuoco su un tema, quello dell’amore oltre ogni limite (che era già stato sviscerato sin troppe volte), qualcosa pare andare storto e, come nel meccanismo di Ed, anche in quello di Tornatore qualcosa si inceppa. Come se non bastasse, la possibilità di manipolazione e controllo sul fenomeno incomprensibile e irreversibile della morte sottrae progressivamente potere a un dramma, quello della scomparsa fisica improvvisa di una persona su cui si sono riversati tutti i propri scopi di vita e i propri desideri (Amy l’ha fatto), e l’impossibilità di rispondere con le proprie parole, di toccare e osservare un interlocutore posto dietro lo schermo di un pc malfunzionante. La Kurylenko offre una prova di inaspettata bravura attoriale, tale da appannare la performance di un Jemery Irons già non proprio al massimo della forma. E questa differenza si avverte con maggiore intensità nel momento in cui lo sguardo lucido e lacerato dell’attrice, in un momento di grande potenza evocativa, viene interrotto da un co-protagonista pedante e inopportuno che si cimenta in un monologo ridondante e detentore di una primigenia morale sul senso della vita e della morte. La Corrispondenza, insomma, è un tentativo onesto ma malriuscito - che penalizza persino un Morricone flemmatico e monotono - di fare poesia al di fuori del tempo e dello spazio, ma che finisce per inciampare proprio in quello spazio-tempo che va inesorabilmente dilatandosi quando, ad un’inesplorata e ardua strada, si sceglie un sentiero più facile.