Il viandante Vinicio Capossela, in occasione dei 25 anni di carriera, ci accompagna in un viaggio onirico tra i paesi, le voci e le persone che animano il suo mondo poetico. Il film si presta come un ponte tra il suo recente romanzo Il paese dei Coppoloni e l'album di inediti Le canzoni della Cupa, in uscita a marzo 2016, che fa da colonna sonora. La pellicola si svolge in Alta Irpinia, dove Vinicio ha le sue radici, vero e proprio giacimento di culture, racconti e canti. Un luogo immaginario che diventa reale, uno spazio fisico di pura immaginazione. È un richiamo al mito e allo stesso tempo una curiosità verso le culture che sopravvivono a quello che possiamo definire un flusso economico. È un'Italia svuotata, che Vinicio attraversa a piedi, su un vecchio furgone e a bordo di una surreale trebbiatrice volante. È un'insieme di paesi, di strade lastricate, di ferrovie arrugginite, di radure, di boschi e personaggi. È la rielaborazione di un immaginario mitico, di una terra d'appartenenza dove si riscoprono i suoni ancestrali della tradizione che ci fanno ricordare non chi siamo, ma chi potremmo essere. I suoni della natura, misteriosa e prima dimostrazione del divino; i rumori dell'animale che si incontra nei boschi in solitudine e degli animali che stanno dentro di noi. Una terra che viene attraversata da viaggiatore, e non da residente; non per scoprire ma per riconoscere qualcosa che abbiamo tutti nel sangue e nelle ossa. La pellicola risulta il completamento di un lavoro che Vinicio porta avanti da più di 15 anni, alla ricerca di suoni e voci ormai perduti nel tempo e che grazie a lui hanno trovato nuova vita. L'importanza delle tradizioni e dei rituali collettivi prendono qui una nuova forma tutta da ricordare. Tramite le pagine del libro, che vengono date all'acqua o al vento, lette dall'autore stesso, prendono vita personaggi e volti che animano quello che è il Paese dei Coppoloni di Vinicio, come Testadiuccello, La Banda della Posta e Ciccillo di Benedetto. Talmente magici da non sembrar veri. Un sorta di rivisitazione di questo mondo di carta: un mondo immaginato che prende vita attraverso i canti e suoni di questi borghi ormai abbandonati da tempo. Una sorta di ricerca ancestrale - quasi antropologica - alla ricerca del mito e del rito che scandiva le giornate e rendeva le piccole comunità unite. Il canto e il ballo ne erano frutto indispensabile, soprattutto negli sposalizi: veri e propri riti collettivo. Quei canti antichi tornano a risuonare, con le voci stridule e stonate del coro improvvisato, nelle nostre orecchie deliziate. La regia è affidata a Stefano Obino - collaboratore del canale Laeffe (produttore della pellicola) per il quale ha diretto tra gli altri Mea Maxima Culpa, Rete Padrona, Alessandro Baricco racconta e le tre serie di Fischia il vento - molto bravo a dar bene in immagini quel flusso di parole e pensiero che sono il lavoro di Capossela. È un film che soddisfa l'anima e il corpo, che sorprende e che ci fa ricordare le nostre radici, l'ancestrale e il fantastico che si nasconde in ognuno di noi. Un ritorno al rurale e all'inizio delle nostre esistenze che tutti dovremmo fare per capire meglio anche noi stessi.