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Zoolander

07/02/2016 11:00

Giovanni Miele

Recensione Film,

Zoolander

Lo stilista Jacobean Mugatu (Will Ferrell) è incaricato dall'industria della moda di assassinare il nemico numero uno degli abiti confezionati a buon mercato: i

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Lo stilista Jacobean Mugatu (Will Ferrell) è incaricato dall'industria della moda di assassinare il nemico numero uno degli abiti confezionati a buon mercato: il neoeletto primo ministro malese, in visita a New York durante la settimana della moda. Mugatu e la loggia massonica del fashion decidono di servirsi di un modello sciocco ma debitamente addestrato per diventare un killer e portare a termine il piano. Derek Zoolander (Ben Stiller), vincitore per tre anni di seguito del titolo di modello dell'anno, “figoso” quanto stupido, soffre per la competizione con il giovane, angelico e un po' freak, Hansel (Owen Wilson). Nello sconforto, Derek abbandona le passerelle per tornare nel New Jersey a lavorare in miniera col padre (Jon Voight) e i due fratelli, che faticano ad accettarlo. Ma Mugatu riuscirà a circuirlo e a prenderlo con sé per istruirlo alla missione segreta, con un metodo decisamente letale. Toccherà alla giornalista Matilda Jeffries (Christine Taylor) e al suo "rivale" Hansel salvarlo dal lavaggio del cervello di Mugatu.


Quando il crimine è in agguato, ogni supereroe è pronto ad agire. E se il crimine ha il volto paillettes e lustrini dell'industria della moda, solo un supermodello-sirenetto “bello bello in modo assurdo” può sconfiggerlo! Zoolander è una commedia esilarante, che trova nell'eccesso il mezzo per ironizzare su un mondo - quello della moda - che di esagerazione vive. Spesso volgare e persino demenziale, la pellicola racconta di un universo esilarante fatto di modelli burattini, “stupidi in modo assurdo”, che si trovano ad avere nelle mani il destino dell'umanità. E che alla fine riescono anche a salvarla. Scritto, diretto e interpretato da Ben Stiller, Zoolander racconta il mondo della moda dei primi anni Duemila: dei super top model a cui bastava un' espressione per sfondare; dei modelli, quelli veri, esempio per milioni di giovani e stereotipo di una bellezza vuota, padroni di un mondo fatto di copertine e passerelle che permettevano anche ai sempliciotti di diventare icone di stile. Un mondo lontano rispetto a quello popolato dalle odierne star della rete, a cui basta il selfie postato nel momento giusto sulla rete per essere popolari.


Ben Stiller anima un film che non risente della trama quasi del tutto inesistente e che riesce a far ridere grazie ai personaggi esagerati. Zoolander, in completo pitonato; Hansel, con capelli biondi al vento, giacca con frange e monopattino in spalla; Mugatu dalla capigliatura improbabile e inseparabile barboncino. Tutte figure eccentriche e spassose, parodia di gran parte della cultura pop e del costume occidentale degli anni '70, '80 e '90. Riuscitissime anche le situazioni paradossali, vere e proprie gag fatte di situazioni e dialoghi completamente non-sense, come la cerimonia di premiazione del modello dell'anno; l'esplosione alla pompa di benzina; lo scontro tra Derek e Hansel a colpi di sguardi. Ma Zoolander non è solo umorismo spiccio, Stiller cita addirittura Kubrick: nella sequenza del lavaggio del cervello in laboratorio, dove le note della nona sinfonia del trattamento Ludovico sono sostituite da quelle di Relax dei Frankie goes to Hollywood, e nello scontro dei due sapiens urlanti e saltellanti e armati di osso contro il mac. A rendere il tutto molto, molto pop concorrono poi la serie di guest star e i cameo di personaggi del mondo dello spettacolo, del cinema e della musica. Su tutti spicca quello del Duca Bianco David Bowie nel ruolo di se stesso nelle vesti di un improbabile giudice pronto a scegliere la migliore performance in passerella tra Derek e Hansel. Un film divertente e grottesco, che fa dell'assurdo il suo punto di forza. Un “bello e stupido” che salva le sorti dell'intero pianeta, ma anche un eroe di tutti i giorni che aiuta i ragazzi che non sanno leggere e che vogliono imparare altre cose buone, dimostrando che anche così si può essere belli in modo assurdo.


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