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Brooklyn

01/03/2016 11:00

Caterina Bogno

Recensione Film,

Brooklyn

A due anni di distanza da Closed Circuit e dopo aver diretto due episodi della seconda stagione della serie True Detective, il regista irlandese John Crowley to

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A due anni di distanza da Closed Circuit e dopo aver diretto due episodi della seconda stagione della serie True Detective, il regista irlandese John Crowley torna al cinema con Brooklyn, un melodramma sceneggiato da Nick Hornby a partire dal romanzo omonimo di Colm Tóibín. La pellicola, presentata in anteprima al Sundance Film Festival del 2015, è stata candidata agli Oscar nella categoria Miglior Film, che alla fine ha premiato Il caso Spotlight di McCarthy.


Brooklyn è una storia di emigrazione e di crescita personale. Protagonista è una giovane irlandese, Eilis (Saoirse Ronan) che nel 1952 viene mandata dalla madre (Jane Brennan) e dalla sorella maggiore (Fiona Glascott) a New York, nella speranza che nella Grande Mela possa costruire per sé un futuro migliore di quello che la patria sembra riservarle. Con l’aiuto di un prete, la ragazza trova ospitalità in un convitto femminile di Brooklyn, dividendosi tra il lavoro in un grande magazzino e il corso per diventare contabile. La nostalgia di casa è difficile da tollerare, almeno fino all’incontro con Tony (Emory Cohen), un idraulico italo-americano che la corteggia con garbo e dolcezza. Eppure, proprio quando la sua nuova vita americana sembra trovare finalmente il suo giusto corso, Eilis è violentemente richiamata in Irlanda da una tragedia. E l’Irlanda che troverà sarà ben diversa da quella che si è lasciata alle spalle la prima volta che è salita sulla nave. Nulla è davvero cambiato nella sua cittadina, eppure tutto sembra divenuto improvvisamente luminoso, come se fosse proprio questa nuova Eilis – cresciuta, temprata dal distacco – a riflettere una luce diversa sui luoghi e sulle persone di sempre.


Brooklyn si presenta fin dal principio come un film estremamente classico, tradizionale. Impressione – questa – che viene rapidamente confermata dalle modalità attraverso le quali il racconto si costruisce. Al centro di tutto si impongono prepotentemente i sentimenti: semplici e potenti, enfatizzati da una colonna sonora che richiama - in modo talvolta lezioso - la musica tradizionale irlandese e da primi piani sempre molto intensi. Baricentro dell’intera pellicola è senza dubbio la giovane Saoirse Ronan, che con la sua ottima interpretazione dà forma a un personaggio altrimenti piuttosto piatto, soprattutto nella prima parte del film nella quale il rischio “piccola fiammiferaia” è sempre in agguato. Con questo ruolo la ventunenne si è guadagnata la sua prima candidatura agli Oscar come migliore attrice protagonista (seconda candidatura dopo quella come non protagonista per Espiazione) insieme a Cate Blanchett, Jennifer Lawrence, Charlotte Rampling e alla vincitrice Brie Larson. Puntando a commuovere il pubblico con i toni del melodramma, Brooklyn racconta una storia di partenze, separazioni e rinascita, ponendo l’accento proprio sulla dolente bellezza del nuovo inizio che la protagonista sceglie coraggiosamente per sé quando decide di costruirsi un’identità al di là della patria e della famiglia. La riflessione di carattere più marcatamente esistenziale, tuttavia, rischia di perdersi sotto una spessa coltre di tipica retorica americana. Quella retorica che celebra gli Stati Uniti come terra delle mille opportunità e che al cinema ha già avuto tutto il proprio spazio.


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