Maggio 1945: a poche settimane dalla resa della Germania Nazista, in Danimarca alcuni giovani soldati tedeschi vengono fatti prigionieri e costretti a disinnescare le mine lasciate in eredità dalla guerra lungo tutta la costa danese. Presentato in anteprima al Toronto Film Festival nel 2015, Land of Mine – Sotto la sabbia è il terzo film del regista danese Martin Zandvilet dopo una serie di cortometraggi e i lungometraggi inediti Applaus e Dirch rispettivamente del 2009 e del 2011. Land of Mine pone l'attenzione su un fatto poco noto e documentato: alla fine della Seconda guerra mondiale alcuni giovani soldati tedeschi, prigionieri in Danimarca, furono incaricati di liberare la costa da più di 45000 mine; le stesse che pochi anni prima gli stessi tedeschi avevano piazzato sul territorio. L'aspetto più interessante di un'opera come Land of Mine sembra essere quello di ribaltare la prospettiva più ovvia del cinema quando affronta il dramma storico della Seconda Guerra Mondiale: qui i soldati tedeschi, infatti, non solo i protagonisti ma gli eroi della vicenda, nello specifico giovani militari la cui colpa è solo quella di essere nati nella Germania nazista. Zandvilet si pone l'obiettivo di raccontare questo annullamento di posizione; quando di fronte all'orrore del conflitto o semplicemente all'innocenza della gioventù si cancella l'essere stati dalla parte dei buoni o dei cattivi. Ma se potenzialmente il film poteva discostarsi in parte da un immaginario cinematografico ben preciso e conosciuto, col passare dei minuti lima - purtroppo - ogni asprezza. Anche l'idea, teoricamente più vivida, di mostrare la morte fuori campo non si ripete e non si sviluppa, provando a dire altro rispetto a ciò che il film mostra. Perché oltre all'intento, ben più che nobile, di accendere le luci su un evento storico quasi ignorato e tragico e al di là dell'intenzione di superare la caratterizzazione dei personaggi, Land of Mine non riesce ad andare oltre ai codici noti del dramma bellico, diventando così un esile racconto sul confine tra giusto e sbagliato, sull'erroneità del sentimento della vendetta. Un'opera che si limita a una certa retorica, che coinvolge il cambio di coscienza e di morale del personaggio del capitano danese di fronte all'ingiustizia della guerra.