Ad un primo sguardo Justine (Haley Bennett) è una ragazza assolutamente anonima; una ragazza che studia al college e che, non avendo i mezzi economici per tornare a casa dalla propria famiglia, è costretta a passare il week end del Ringraziamento tutta sola nella sua scuola. Una sera la ragazza decide di uscire dalla sua stanza per andare a fare incetta di beni alimentari a un supermercato poco distante e, non accorgendosene, diventa l'obiettivo di una strana, quanto misteriosa ragazza (Ashley Greene), che fa parte di una setta che “rapisce” delle giovani donne, chiamandole con il nomignolo “Kristy”. Justine finisce così con l'essere l'obiettivo ultimo di quattro figure misteriose e piene di follia, che renderanno il suo fine settimana in solitudine un vero e proprio incubo ad occhi aperti. A ben vedere Kristy, seconda opera del regista Oliver Blackburn, dopo l'esordio con Donkey Punch, è una pellicola che sembra spaccata in due e che offre allo spettatore due film all'interno della stessa cornice diegetica. Due parti di una stessa mela, con risultati assai diversi l'uno dall'altro. Tralasciando l'ipotesi abbastanza assurda di partenza – può un istituto rimanere aperto per una sola studentessa, senza che ci sia neanche qualcuno della sicurezza? - Kristy parte mettendo in scena una struttura dell'orrore che, sebbene risponda a certi canini ormai stereotipati, riesce comunque a giocare con l'attesa e lo spavento di chi è seduto in poltrona. Una volta presa di mira dai quattro psicopatici, Justine si trova a muoversi in un mondo fatto di oscurità, di infiniti corridoi che offrono la possibilità di nascondere il pericolo dietro ogni angolo, ad ogni svolta, in ogni pozza di tenebra. Immerso in una nebbia autunnale baciato solo dalla luce candida della luna, il college di Justine si trasforma ben presto in una sorta di girone infernale, dove sono la paura e il non-visto a farla da padrone. L'ansia diventa palpabile e lo spettatore si lascia ingannare dalle scelte tecniche del regista, che sembra sapere cosa fare con la macchina da presa in mano. Passati i primi cinquanta minuti, però, la situazione cambia repentinamente, come se Blackburn avesse dimenticato quale fosse la storia che stava raccontando. Da vittima ignara di quattro boogeyman che la inseguono senza un apparente motivo, Justine si evolve – quasi senza motivo o giustificazione – in una sorta di giustiziera della notte. Il risultato è che la pellicola intera perde non solo la sua credibilità – già di per sé traballante – ma manda allo sfacelo anche le qualità della prima parte di visione. L'eleganza della resa, legata a piani sequenza attenti, a un gioco di vedo-non vedo e ad attese quasi estenuanti viene distrutto da un ricordo a violenza gratuita che trasforma Kristy nell'ennesimo film slasher di cui, forse, non ne avevamo bisogno.