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13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi

02/04/2016 10:00

Riccardo Tanco

Recensione Film,

13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi

L'11 settembre 2012 alcuni ribelli islamici attaccano l'ambasciata statunitense e un rifugio della CIA situati a Benghazi in Libia...

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L'11 settembre 2012 alcuni ribelli islamici attaccano l'ambasciata statunitense e un rifugio della CIA situati a Benghazi in Libia. Durante l'assalto perdono la vita quattro americani, tra cui l'ambasciatore J.Christopher Stevens. Per evitare ulteriori danni, una squadra speciale dei Navy Seal composta da sei uomini combatte per difendere il rifugio dall'intervento dei ribelli.


Tratto dal libro 13 Hours scritto nel 2014 da Mitchell Zuckoff, a sua volta ispirato alla storia vera del team di sicurezza che aveva protetto l'appostamento americano a Benghazi a seguito degli attacchi terroristici del 11 settembre 2012, 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi è il dodicesimo film di Michael Bay. Il regista abbandona momentaneamente la saga robotica dei Transformers e torna ad affrontare il dramma bellico a distanza di quindici anni dal film Pearl Harbor. Il cinema di Michael Bay è sempre stato per sua natura ipertrofico ed eccessivo: letteralmente, le sue sono opere che abbattono i muri e rilanciano continuamente il mezzo cinematografico in termini di grandezza scenica. Fare un film è sempre una prova di forza. Bay è un regista quasi sempre fuori controllo, che desidera che le sue immagini contengano tutto e più di tutto, condite da un'estetica anch'essa esageratamente abbagliante nelle tonalità. Pur non avendo la megalomania visiva e spettacolare della saga di Transformers, questo 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi riconferma Michael Bay come un autore dall'approccio alla materia sempre pesante e aggressivo, dall'indubbia capacità tecnica nel gestire le sequenze più complesse ma che, proprio per questa sua struttura così netta e probabilmente non modificabile, tende a dividere.


Se lo stile di Bay rimane quello conosciuto, puntando anche in questo caso alla saturazione dell'immagine e sulla potenza visiva come esperienza per lo spettatore, 13 Hours non riesce a uscire dai binari un po' ovvi del dramma di, guerra manicheo e retorico, esplorando con sguardo assente tutti i cliché del genere: dall'orrore ai traumi che provocano il conflitto, fino al coraggio mostrato e celebrato dai protagonisti. E la sceneggiatura scritta da Chuck Hogan pare guardare più che a un film come The Hurt Locker, o al più recente American Sniper di Clint Eastwood, guardando quasi alla stessa maniera il dolore e il cambiamento che la guerra porta a chi è costretto a viverla. Anche l'intuizione più felice del film, quella di cavalcare la stretta attualità con un immaginario da terrorismo globale e nuovi conflitti, riflettendo sull'impossibilità di identificare i propri nemici dagli alleati resta in superficie e poco accennata. Perché l'impressione è che 13 Hours non sappia andare oltre il noto, non voler raccontare altro rispetto a ciò che mostra. Come una celebrazione ben mascherata, ma anche superficiale dramma sull'insensatezza della guerra.


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