Scritto e diretto dall’esordiente Ilya Naishuller, Hardcore! è un film che, nel bene e nel male, segna un punto d’arrivo nella storia del rapporto fra cinema e videogioco. Molto più che in altre occasioni, sarà quindi necessario scindere l’aspetto tecnico ed estetico da quello narrativo: se sul primo aspetto il discorso si fa interessante, dal secondo punto di vista il film raggiunge una risicata sufficienza in virtù di un racconto che, pur concedendosi un paio di buone idee, rimane fondamentalmente poco più di una traccia funzionale a spostare il protagonista da un contesto all’altro. Henry si risveglia muto e incapace di ricordare il proprio passato. Una bella ragazza di nome Estelle (Haley Bennett) gli dice di essere sua moglie, mentre gli avvita una gamba e un braccio: Henry è un cyborg. Braccato dal perfido Akan (Danila Kozlovsky), capo di un gruppo di mercenari che lo vuole come capostipite di un esercito di super soldati, Henry dovrà prima fuggire quindi ritrovare il nemico per salvare sua moglie, da lui rapita nel tentativo di catturarlo. Nella sua folle corsa in giro per Mosca e dintorni, Henry troverà l’aiuto di un insolito alleato, Jimmy (Sharlto Copley), misterioso personaggio dalle molteplici identità e personalità, che potrebbe rivelarsi più di quel che appare. Se questa è la traccia a partire dalla quale si sviluppa il racconto di Hardcore!, la peculiarità del film è di essere girato completamente in soggettiva. Fin qui, in realtà, si tratterebbe di una scelta inusuale ma non straordinaria, esistendo già altri film - in particolare Lady in the Lake del 1947, citato in Hardcore! - con le stesse modalità. La specifica valenza della soggettiva in questo caso è data però dall’esplicito rimando alle forme espressive del videogioco: nello specifico a quelle di titoli come Mirror’s Edge, per le molte sequenze di parkour, e a serie di sparatutto in prima persona come Call of Duty; ma anche molto Duke Nukem 3D. Questi riferimenti sono quelli più spiccatamente evidenti, ma in realtà il film si costruisce come un continuo rimando a personaggi e situazioni videoludiche: inseguimenti motociclistici alla Road Rush; sessioni con il fucile di precisione alla Sniper Elite; un antagonista ripreso per estetica da Liquid Snake e per i poteri telecinetici da Psycho Mantis, entrambi personaggi di Metal Gear Solid. Sorvolando sulla pura questione del punto di vista, Hardcore! rimanda prepotentemente a film come Crank o tanti action movie e serie anni '80: anche l'iconografia (i furgoni neri e rossi degli sgherri di Akan citano chiaramente l’A-Team), l'eccesso di violenza stilizzata e musica ritmata, denuncia la cultura punk del regista. Che la contaminazione fra media sia la forza del film è indiscutibile, ma lo è soprattutto per il senso di rivalsa di quanti hanno a lungo subito la sudditanza psicologica “imposta” dal cinema al videogioco. Hardcore! è un film sperimentale e coraggioso (con tutti i suoi eccessi) proprio per questa volontà di rendere cinema un videogioco. In termini di rapporto fra i due media il suo segnare una pietra miliare in fondo rappresenta anche una sorta di monumentale pietra tombale su tale pretesa: il medium videoludico ormai è affermato, ha basi e prospettive solide, non ha bisogno di dimostrare nulla, ma perde endemicamente di profondità quando cerca di trasmettere a un pubblico passivo le emozioni che solo giocando attivamente è possibile provare. Il videogioco ha costruito una propria estetica mutuando dal cinema buona parte delle sue modalità espressive, dal momento in cui la grafica poligonale ha permesso l’introduzione di quella che non a caso viene definita “macchina da presa virtuale”. Di pari passo, le capacità di calcolo dell’hardware hanno permesso di costruire modalità di gioco complesse, cui si potessero associare trame altrettanto composite che, unite a una diegesi ripresa dal cinema, hanno reso il videogioco cinematografico. Una volta che gli sviluppatori hanno maturato una padronanza di questo mezzo è stato possibile sviluppare e approfondire estetiche proprie del medium videoludico, fra le quali in effetti la soggettiva leggermente falsata (più alta di quella reale e integrante meno dettagli del corpo di quanti effettivamente siano visibili nella realtà) degli sparatutto; quella in terza persona, da dietro le spalle del protagonista, propria delle avventure; quella a volo d’uccello degli strategici, che in ambito cinematografico hanno complessivamente poca ragion d’essere perché funzionali a un’attività diretta dell’utente. Hardcore! riporta sullo schermo uno di questi espedienti ed è grande nel celebrare una passione e proporre una cifra stilistica che non rivoluziona il cinema, ma fa qualcosa di diverso e potenzialmente molto più interessante: sancisce l’ingresso di una cultura considerata minore nell’alveo della cultura popolare mainstream e apre una prospettiva alle narrazioni virtuali su binario. Nell’ottica dello sbarco ormai prossimo dei vari PlayStation VR, Oculus Rift e Vive, Hardcore! lascia infatti intuire le potenzialità e i limiti di un racconto cinematografico vissuto in prima persona e, forse, uno dei modi in cui quelle forme di esperienza potranno essere riprese dal cinema classico, salvo capire se ce ne sarà veramente bisogno. Del resto il videogioco e il cinema restano media diversi, che sicuramente scambiano contenuti e forme espressive, ma il cui rapporto è davvero valido solo quando l’uno e l’altro mantengono la propria identità mediale. L’interattività - aspetto che il cinema, per definizione, non ha e non può avere - è una barriera invalicabile, che da una parte giustifica la ridondanza e gli eccessi delle modalità espressive del videogioco, dall’altra impedisce che questi possano essere trasposti in chiave strettamente narrativa senza un buon lavoro di adattamento. Così se in termini puramente cinematografici non si può sostenere che Hardcore! sia un gran film, resta imperdibile in quanto fenomeno culturale. E in questo sta la sua vera valenza.