Michele, Roberto e Giusy sono i proprietari di un’azienda vinicola, fondata da loro padre nel 1948, che produce il vino Bianco di Babbudoiu. Quando i tre fratelli si accorgono che l’azienda ha accumulato 500.000 euro di debiti, e che hanno solo 15 giorni per racimolare quella somma ed evitare il fallimento, i tre soci s’improvvisano banda criminale. È cosa risaputa: il cabaret non funziona sul grande schermo. O, comunque, l’operazione condotta dal trio comico di Pino e gli anticorpi, diretti dal loro amico di vecchia data Igor Biddau (per la prima volta alla macchina da presa), riesce perfettamente a dimostrare che il passaggio da tv a cinema è più rischioso di quanto non si pensi. Ed è questa la sola prova riuscita nel caso di Bianco di Babbudoiu, che più di una volta scivola nella banalità di un impianto narrativo fiacco, costruito attorno al “mistero” del vino rosso inspiegabilmente denominato “Bianco”. Ma si scoprirà che il pretesto non funziona e che non è sufficiente a tenere viva l’attenzione e la risata, entrambe spesso compromesse dal dubbio gusto di gag poco efficaci e di situazioni ed episodi cui si fatica a riconoscere credibilità. E, se già Pino e gli Anticorpi sembrano non trovarsi a proprio agio nei panni di comici scaraventati nel mondo del cinema, persino alcuni personaggi secondari - anch’essi usciti da Colorado Café - tra cui Dario Cassini, risultano limitati e penalizzati da una scrittura povera; incastrati nell’immagine dello stereotipo più dozzinale. Probabilmente, la causa di tale disastro è rintracciabile nella sceneggiatura, scritta dalle stesse mani di Stefano e Michele Manca (insieme a Nicola Alvau), che rende ancor più evidente la problematicità, laddove non addirittura l’impossibilità, di adattare alla commedia da grande schermo ciò che funziona su un palcoscenico di spettacoli televisivi. Il trio sardo non riesce assolutamente a fissare una struttura solida, almeno verosimile, su cui fabbricare la propria commedia, che necessita di una logicità e di una compattezza interna per poter funzionare. Soprattutto nel momento in cui si tenta di far ridere. È proprio quel vago principio di consequenzialità a mancare in Bianco di Babbudoiu; quella coesione in grado di fornire movimento e ritmo a ciò che, invece, nel risultato, pare essere solo una sequela di episodi sciolti e poco divertenti.