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Mister Chocolat

06/04/2016 10:00

Federica Cremonini

Recensione Film,

Mister Chocolat

La vera storia del primo clown di colore

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Dopo essersi trasferito da Cuba a Parigi, Rafael Padilla (Omar Sy) diviene il primo artista di colore della storia in Francia, guadagnandosi da vivere come clown. Con il nome d’arte di Chocolat, sarà anche il primo a dare origine un duo comico con un bianco, il pagliaccio Footit (James Thierrée). I due coltivano una solida amicizia, finché problemi legati al denaro e alla questione razziale non sopraggiungono.


Alla sua quarta regia e dopo una sterminata gavetta da attore, Roschdy Zem si cimenta nel biopic ed esplora le glorie, le vicissitudini e le sofferenze di un uomo che, all’inizio della Belle èpoque, ha ottenuto un'incredibile fama. E Zem dimostra, senza difficoltà, di conoscere la materia trattata: il suo biopic è accurato, gli eventi che costellano la vita di Rafael Padilla sono riportati sul grande schermo in maniera meticolosa. Di conseguenza, altrettanto attenta è la raffigurazione del percorso e del successo di Chocolat, dapprima impegnato a guadagnarsi da vivere lavorando per conto di Monsieur Delvaux - che ne fa un’attrazione sfruttando la sua immagine di uomo “insolito”, poiché nero – e, in seguito, come spalla di Footit (un meraviglioso James Thiérrée), talento di strada in crisi che necessita dell’aiuto di una novità, rappresentata dall'artista di colore. Tanto impegnato quanto abile nel raffigurare gli eventi e le circostanze di un’amicizia che ha dell’incredibile, Zem dimentica di fornire la minima attenzione a ciò che, forse, costituisce il più rilevante fattore della storia: il contesto storico. Come se la vita di Padilla fosse già straordinaria di suo e non necessitasse di ulteriori approfondimenti, Mr.Chocolat rappresenta l’ennesimo esempio di film biografico interessato a dimostrare di “conoscere la storia” più che a mostrarla. Pertanto, costituisce esattamente ciò che un biopic dovrebbe evitare di fare. I fatti inerenti al dramma di Padilla in un’Europa come quella di fine ‘800 sono materia ricca di spunti, ma il regista non sembra preoccuparsene affatto, lasciando la questione appena accennata.


Così, Mr.Chocolat è la logica e scrupolosa ricostruzione della parabola ascendente-discendente della fama, ma del tutto priva di spirito e, dunque, applicabile a mille altre storie. Chocolat è un fuoco che arde in un ambiente chiuso e che si spegnerà con la stessa rapidità con la quale ha conquistato i cuori dei francesi (o, meglio, dei bianchi). La sua è una gloria effimera, fugace, legata a quella stessa diversità che, al contempo, lo danneggia. Roschdy Zem tralascia ogni aspetto che possa essere ricondotto non solo al conflitto interiore dell’uomo diverso, paradossalmente adorato e al contempo odiato, ma anche al gigantesco impatto che costui ha avuto sulla società europea, quella dei bianchi e dei “normali”, che dà e toglie. Mr.Chocolat, allora, si dedica totalmente al resoconto della vita dell’uomo diverso come una successione di parole, di date e di eventi, sopprimendone l’anima e relegando la forza del corpo e del volto di Chocolat a una maschera: in pratica, nulla di così diverso dal considerarlo un clown in grado di intrattenere le masse.


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