
Anticipato da una pletora di critiche e osservazioni sul suo essere eccessivamente esplicito, quasi pornografico, orientato a raccontare i costumi dissoluti di un gruppo di adolescenti senza avere altro scopo che lo scandalo, arriva sul grande schermo Bang Gang, della regista francese Eva Husson. In un paesino sul mare vive un gruppo di adolescenti, fra i quali George (Marilyn Lima) e Laetitia (Daisy Broom). Le due amiche sono pressoché inseparabili e passano insieme il tempo libero dalla scuola, in un contesto che per quanto ameno non offre grandi stimoli e distrazioni. George è più disinibita ed esperta di Laetitia nel rapporto con l’altro sesso; è innamorata dell’amico Alex (Finnegan Oldfield), con il quale vorrebbe instaurare una relazione più profonda di quella strettamente fisica che hanno. L’assenza dei genitori fa sì che casa di Alex diventi un punto di riferimento per la compagnia di amici. Quando il ragazzo si invaghisce di Laetitia e la porta a letto, George per distrarsi inventa quasi per scherzo una variante erotica del gioco della bottiglia, coinvolgendo tutta la compagnia in quello che ben presto diventa un appuntamento fisso dalle connotazioni orgiastiche: la Bang Gang. Sullo sfondo di tutto questo si muove Gabriel (Lorenzo Lefebvre), vicino di casa di Laetitia, appassionato di musica e indurito da un trauma che l’ha costretto a una rapida assunzione di responsabilità. L’incontro fra lui e George, persone molto diverse, potrebbe segnare l’inizio di un vero rapporto d’amore, ma le conseguenze della Bang Gang potrebbero essere più pesanti di quanto i ragazzi non credano. Sullo sfondo dei giochi erotici di un gruppo di adolescenti, la cui proposizione in scena insieme a droghe e alcool ha scatenato reazioni forse eccessive rispetto all’effettivo contenuto, Eva Husson cerca di costruire un doppio binario di narrazione che si sposta dal gruppo all’individuo. Bang Gang racconta le difficoltà e le insicurezze degli adolescenti moderni, acuite dai mezzi di comunicazione a loro disposizione e dalla noncuranza con la quale si consumano rapporti assolutamente spersonalizzati e superficiali. Quando il destino unisce due individui, ecco allora che la “normalità” sembra avere il sopravvento; i giochi finiscono e la possibilità di costruire qualcosa e ritrovare se stessi si fa concreta. Ingenuo e semplicistico nelle proprie convinzioni, Bang Gang non sembra un film pretenzioso o costruito per essere furbo: la Husson racconta qualcosa di vero, o quantomeno verosimile, non curandosi dei rischi di mostrarlo esplicitamente sul grande schermo ma senza eccedere nell’esibizionismo, concedendo sì qualche nudo integrale ma senza indugiarvi realmente. Il registro adottato è quasi quello di un documentario: il sesso di gruppo, come le ranocchie che nuotano nella piscina o i tramonti sul mare, sono parte di uno stesso ecosistema naturale. Non c’è condanna in quanto viene mostrato, se non da parte di genitori persi nei propri interessi. È credibile la regista quando chiede di non soffermarsi sul gioco della Bang Gang, ma piuttosto concentrarsi sulla storia d’amore che il film racconta. Sicuramente era interessata a raccontare la possibilità che qualcosa di “profondo” sbocci anche in un contesto in cui sembra essersi perso interesse per ciò che non è meramente appariscente, ma il risultato tuttavia non arriva ad avere la profondità che pretenderebbe di avere. Sono i normali eccessi di un’adolescenza annoiata, con troppi mezzi e pochi stimoli, quelli che passano sullo schermo. E forse siamo talmente abituati a vederli che neanche mostrarli nudi scandalizza più.