Per il padre dell’economia politica moderna Adam Smith, al di sopra delle decisioni di politica economica veglierebbe la cosiddetta Mano Invisibile capace di guidare gli individui e in virtù della quale questi, pur perseguendo il proprio personale, finiscono per raggiungere un fine ulteriore, l’ottimale funzionamento del sistema economico, interesse dell’intera società. Una sorta di escamotage del libero mercato, metafora dei meccanismi economici, che servirebbe a giustificare la trasformazione dei "vizi privati" in "pubbliche virtù". Col passare degli anni, la Mano Invisibile si è fatta “visibile” e ha preso il volto dei leader mondiali che si incontrano e, seduti a un tavolo, decidono delle sorti economiche dell’umanità. Questo lo sfondo de Le confessioni, il nuovo film di Roberto Andò, che torna a occuparsi di politica e in particolar modo del difficile rapporto tra potere ed etica.
In un albergo extralusso a Heilingendamm, sulla costa baltica, si riunisce il G8 dei ministri leader dell’economia mondiale per decidere le sorti dell’Occidente, pronto ad adottare una manovra segreta che avrà conseguenze pesantissime sui paesi più poveri del globo. Organizzatore dell’incontro è il direttore del Fondo Monetario Internazionale Daniel Roché (Daniel Autiel), che ha invitato anche tre ospiti estranei al mondo della politica: una celebre rockstar impegnata nel sociale, una famosa scrittrice di best-seller per bambini e il monaco certosino Roberto Salus (Toni Servillo). Dopo che Roché chiede al religioso di ascoltare la sua confessione, accade un fatto tragico che costringe i leader mondiali a sospendere il meeting. Attorno a un clima di dubbio e sospetto, il monaco, depositario del segreto attraverso la confessione, è sospettato di essere a conoscenza della terribile manovra politica dalle conseguenze disastrose. E le certezze dei leader mondiali, assaliti da rimorsi e insicurezze, cominciano a vacillare.
Dopo il successo di Viva la Libertà, Roberto Andò dirige - scrive a quattro mani con Angelo Pasquini - Le confessioni. La politica è di nuovo protagonista - stavolta quella monetaria dei leader internazionali che cambiano le sorti del mondo - ma si lega a una dinamica da thriller in cui i personaggi, rinchiusi come topi in gabbia, si trovano costretti a confrontarsi con il proprio senso etico, spesso fondato sull’opposizione tra ciò che giusto e ciò che è utile. Gli otto ministri dell’economia si muovono come divinità antropomorfe nelle metafisiche e asettiche stanze dell’albergo, che diventa un nuovo Olimpo in cui gli dèi si lasciano sopraffare da vizi tutti umani, troppo impegnati a decidere delle sorti dell’umanità, vicini a prendere una decisione segreta che sconvolgerà gli equilibri internazionali. Ma lo scontro più vivo si innesta tra due personaggi in particolare: il freddo e cinico direttore del Fondo Monetario Internazionale, un burattinaio (la mano “visibile”) che muove come pedine gli altri partecipanti al meeting e che gioca con le sorti del mondo, preoccupato da un’unica variabile, il tempo, che è proverbialmente “denaro”; e il monaco certosino Roberto Salus, contemplativo per antonomasia, per cui “perder tempo non ha mai fatto male a nessuno”. Il loro incontro/scontro si condensa tutto in una notte, quella della confessione, e la mattina dopo, scoperto il corpo senza vita di Roché, i già fragili equilibri si sgretolano e il silenzio del monaco rischia di svelare il malefico piano.
Tutto si muove lentamente - anche la macchina da presa - e il tempo si dilata, resta sospeso nelle lunghe inquadrature agli spazi perfettamente misurati dell’hotel dove i personaggi cercano una soluzione, quella più efficace che può rivelarsi anche la più pericolosa. Solo il silenzio e la lunga contemplazione possono rappresentare una soluzione. Un cast internazionale per un film che sembra spesso prendere una strada (prima quella politica, poi il giallo), ma che l’abbandona subito dopo. Tante, forse troppe, le ispirazioni di Andò: il contemplativo Salus e il suo misterioso incedere ricordano spesso il Guglielmo da Baskerville di echiana memoria; l’immagine del mistico costretto a far silenzio a causa del vincolo della confessione è un chiaro riferimento a Io confesso di Hitchcock (come chiaramente esplicitato da uno dei personaggi all’interno del film). Inoltre, e questo fa credere che ci sia stata davvero poca originalità, il volto di Servillo che si aggira tra i corridoi di un hotel alla Youth lo fa assomigliare troppo al Titta di Girolamo che si muove nella notte romana de La grande bellezza. Anche la fotografia curatissima strizza troppo l’occhio all’estetica di Paolo Sorrentino. Nonostante ciò, Le confessioni resta un racconto interessante sulle dinamiche del potere e sulla forza del silenzio, capace - più di tante parole - di sovvertire gli equilibri.