L'isola di Kim Ki-duk è un luogo/non-luogo che condivide con l'infinitezza del cielo la finitezza del mare. La storia vede un ex poliziotto, Hyun-shik (Kim Yoo-suk) che, scampato a una fuga dopo aver ucciso la fidanzata e l'amante, si nasconde in un agglomerato di piccole case galleggianti gestite da una ragazza: Hee-jin (Jung Suh) ma la sua volontà è una sola: morire. Hee-jin, intuito il gesto, corre in suo soccorso salvandogli la vita e tra i due nasce un rapporto ambiguo, peccaminoso, fatto di passione, spregiudicatezza, sesso e istinti primordiali. Scampare agli eventi tuttavia non è semplice ed è facile perdere prima o poi il controllo. Come il sashimi – allusione non casuale – il regista pesca il desiderio, ne affetta l'ossessione e lo serve ancora fresco. Ne conviene una violenza psicologica, fisica e di intenti che aumenta in parallelo con il desiderio inscenato. Il ritmo della narrazione sul finale si evolve, vira verso il sadico e si contrappone all'essenzialità dei dialoghi – irrilevanti. La forza risiede ancora una volta nell'atteggiamento distaccato adottato dal regista, come nei suoi lavori precedenti, attento a riprendere il dolore dalla distanza piuttosto che a imporre gratuiti primi piani. La sua libertà espressiva è di un'estremo disturbante, riflessa com'è nelle magnifiche interpretazioni dei personaggi e schematica nel manifestare il leitmotiv dominante: la donna - ricorrente nel cinema di Kim Ki-duk. Opera dallo slancio internazionale, L'isola è un cruento affondo all'amore ossessivo. Una pellicola ricca di trovate sofisticate, intimista, radicale e allegorica. Come tutti i film del regista sudcoreano, non lascia indifferenti e si fa portabandiera di un cinema sperimentale dal dominante linguaggio figurativo. Antitetico al poetico e illuminante Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera ma altrettanto significativo e stimolante.