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Terminator 3 - Le macchine ribelli

05/06/2009 11:00

Giuseppe Salvo

Recensione Film, Film Fantascienza, robocop, terminator,

Terminator 3 - Le macchine ribelli

Quando Cameron aveva affidato ai suoi irriducibili protagonisti la speranza filantropica di un futuro non ancora stabilito, Jonathan Mostow, a dodici anni di di

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Quando Cameron aveva affidato ai suoi irriducibili protagonisti la speranza filantropica di un futuro non ancora stabilito, Jonathan Mostow, a dodici anni di distanza – trauma post 11 settembre e guerra irachena in corso – raccoglie l’eredità della serie ma relativizzandone decisamente l’assunto antideterministico. Se il creatore di Terminator chiudeva il suo dittico proclamando la volontà individuale come mezzo per forgiare il proprio destino e quello dell’intera umanità, il terzo capitolo ne smorza l’entusiasmo etico, avanzando la cupa ineluttabilità degli eventi. Il giorno del giudizio non è stato cancellato, ma solo rimandato.


Nel 1984 un cyborg giunse dal 2029 per eliminare Sarah Connor; dieci anni dopo un secondo androide attraversò il tempo per terminare suo figlio, futuro leader della Resistenza umana nella guerra tra gli uomini e le macchine. Sono trascorsi vent’anni da quel primo tentativo, e John affronta ogni giorno un’esistenza solinga, nascosta, ai margini di quel mondo che aveva deciso di salvare dalla catastrofe nucleare. Quando un nuovo Terminator dalle fattezze femminili, il T-X, giunge per compiere una nuova missione, eliminare i futuri luogotenenti di Connor, un T-101 ricompare nella vita di John, per proteggere lui e la giovane Katherine Brewster dagli attacchi della spietata cyber-killer, e rivelare un’inquietante e inesorabile verità: il predominio di Skynet e lo sterminio dell’umanità non è stato evitato, e mancano poche ore per fermarlo.


I sequel molto spesso adottano politiche e strategie che servono a rendere il prodotto seriale sempre attraente, rinnovarlo pur lasciandone gli elementi distintivi invariati. Mostow opta per le peculiari attrattive della saga: un budget stratosferico, effetti speciali di ultima generazione, l’immancabile e preziosissimo apporto professionale di Stan Winston, e sequenze che avvincono (quantomeno dovrebbero) e fomentano il puro divertissement visivo. La serie dei Terminator è sempre stata un ottimo metro di giudizio per misurare i progressi dei mezzi di rappresentazione cinematografica e degli ultimi ritrovati nel campo degli effetti visivi, partendo dai primi e arcaici animatronic e stop-motion del cyber-killer nel 1984, passando per le mirabolanti e stupefacenti evoluzioni mimetiche del T-1000, assoluto spartiacque della grafica digitale. L’ultimo villain della saga, condensa nelle fattezze femminili della “Terminatrix” le caratteristiche delle precedenti “unità di infiltramento” (endoscheletro in lega metallica rivestita di metallo liquido) che si traduce come un ulteriore passo avanti quanto a spettacolarità. Purtroppo solo in quello, visto che l’adrenalina degli inseguimenti e degli scontri, le stupefacenti vedute del futuro post-apocalittico (con i terrificanti T-800 a padroneggiare sul pianeta), le applicazioni digitali sul volto dei cyborg, non compensano da sole dinamiche narrative poco autosufficienti. Lo schema classico della mitologia cameroniana è ricalcato, gli ingranaggi ossidati, e i dodici anni trascorsi dal secondo capitolo cyber-tecnologico sono sufficienti ad avvertire un accorato sentimento nostalgico. Inoltre l’ironia somministrata per spezzare i ritmi, la tensione congelata o per lo più assopita (laddove in Cameron era assolutamente coinvolgente), e la scelta di interpreti poco convincenti (Stahl, in luogo del ben più drammatico Furlong, è un irriconoscibile John Connor) sono l’ulteriore zavorra che impedisce, a quel che poteva essere un buon film d’azione, di decollare. Le immagini e lo sgomento finali riscattano in parte l’intero film. Pensare che ispirazione e idee più consistenti siano andate ad altre pellicole (come il primo Matrix dimostrò ampiamente) invece che al discendente diretto della saga cameroniana, lascia la spiacevole e malinconica sensazione di un ciclo al tramonto.


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