Mai come negli ultimi dieci anni le produzioni tratte o ispirate da opere letterarie per ragazzi hanno avuto tanto seguito e tante possibilità, trainate dallo strepitoso successo di Harry Potter & co. I produttori cinematografici hanno ormai setacciato quasi tutto lo scibile del genere alla ricerca di titoli più o meno meritevoli di essere trasposti in pellicola. A questa frenetica caccia al tesoro non è riuscita a sottrarsi neanche l'opera più conosciuta di Elizabeth Goudge, The Little White Horse, che dopo una prima trasposizione televisiva alla metà degli anni '90, vede ora nuovamente la luce (o meglio, il buio) delle sale grazie a Gabor Csupo (già regista di Un ponte per Terabithia). 1842, Inghilterra. Maria Merryweather, giovanissima gentildonna, dopo essere rimasta orfana si trasferisce, insieme alla sua istitutrice, nella tenuta del burbero zio Benjamin, chiamata Moonacre. L'enorme magione, situata ai margini di una intricata foresta, sembra nascondere molti segreti e altrettanti misteri, i quali sembrano tutti avere origine e spiegazione dalle pagine di un antico libro, The Chronicles of Moonacre Valley, che la piccola riceve in eredità. Ben presto Maria verrà a conoscenza di una terribile maledizione che incombe imminente sulla valle, una maledizione che solo con spirito di sacrificio e umiltà potrà sciogliere. Il passaggio dalla carta alla celluloide non è stato indolore: inevitabili - come sempre, in questo genere di produzione - gli adattamenti rispetto alla trama originale, in alcuni casi stravolta e semplificata. Sebbene la funzione dei personaggi in entrambe rimanga sostanzialmente la stessa, molti riferimenti e legami di parentela non vengono rispettati, modificando in parte il senso stesso dei rapporti fra di loro. Personaggi che risentono doppiamente della loro età: quella relativa all'ambientazione (sono figure vittoriane, con i pro e i contro del caso) e quella strettamente anagrafica. Il libro, del 1946, fu pubblicato più o meno all'epoca in cui J. R. R. Tolkien sviluppava l'epopea dell'Anello e diversi anni prima che C. S. Lewis elaborasse il mondo di Narnia. Va da sé che quello che letterariamente andava bene all'epoca non necessariamente funziona ancora oggi, e il film, pallida copia delle idee originali, ne è la prova. Tuttavia il romanzo è stato, palesemente, fonte di ispirazione per decine di opere successive (la stessa Rowling ha affermato di averne preso ispirazione per il suo maghetto). La storia sa inevitabilmente di già visto, anche se in realtà è quanto visto negli anni passati ad essere in difetto. Ciò non toglie certamente che certi passaggi siano fin troppo semplici e richiedano una soglia di sospensione dell'incredulità molto alta, che unita all'antipatia intrinseca (e spesso voluta) di molti dei protagonisti della pellicola, contribuisce ad instillare una vena di noia nel pubblico più smaliziato. È un peccato, perché gli attori sono ben calati nella loro parte (soprattutto Dakota Blue Richards e Ioan Gruffudd), e l'atmosfera è quella giusta, portata in risalto con tocco delicato da Csupo e dai costumi d'epoca. C'è invero da dire che gli effetti visivi e le scenografie sono alquanto povere, soprattutto se confrontate con pellicole simili quali Inkheart - La leggenda di cuore d'inchiostro o Stardust, entrambe produzioni diversi gradini più in alto. Per quanto il film possa risultare gradevole quindi, in particolare per i più piccoli, non ce la sentiamo di promuoverlo a pieni voti, nonostante sia meritevole di visione da parte degli appassionati del genere.