La linea di confine del titolo ha una duplice valenza nell'economia di questo Borderland. Costituisce, a modo suo, una sorta di passaggio rituale per i tre giovani protagonisti (Brian Presley, Rider Strong e Jake Muxworthy), che all'inizio del film la attraverseranno per diventare uomini attraverso un tour messicano fra strip clubs e funghetti allucinogeni; diventerà in seguito simbolo di salvezza e oggetto del desiderio nel momento in cui i tre verranno braccati da un'organizzazione pseudo-religiosa locale, che vede nelle grida delle proprie vittime sacrificali, opportunamente martoriate, una sorta di veicolo verso il Divino.. La componente religiosa (giusto accennata e presto rimessa perlomeno in discussione, visto che - viene detto spesso - questa setta pare essere collegata a dei traffici di droga) e l'ambientazione esotica sono le poche cose per le quali un film di Borderland potrà rimanere un ricordo vagamente durevole. Una volta tolte queste componenti, ciò che rimane è l'ennesimo thriller con vena horrorifica e contaminazioni snuff sulla falsariga dei vari Hostel; per quanto un film simile possa essere scritto in maniera perlomeno decente e ben confezionato, e questo è il caso di Borderland, finisce per essere una semplice variazione su un tema oramai noto e stranoto, con tutte le conseguenze del caso. Le riflessioni sull'ambiguità della natura umana e sul significato della violenza, la paura per il pericolo sempre in agguato (qui accentuato dall'omertà - parrebbe di capire - di un'intera città ), lo scandalo per le torture estreme (le carte più interessanti vengono però giocate tutte nel prologo iniziale); Borderland è anche diligente nel cercare di toccare tutti i tasti più opportuni ma arriva in ritardo rispetto al suo pubblico, sempre più incline a trasformare ciò che qualche anno fa poteva essere scandalo o stupore in una ben più prosaica (e letale) sensazione di noia.