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Le 13 rose

04/08/2009 10:00

Luca Lombardini

Recensione Film,

Le 13 rose

Madrid...

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Madrid. La guerra civile spagnola si è conclusa da una manciata di mesi. 13 ragazze, una volta pacifiche militanti tra le fila della Brigata Socialista della Gioventù, si trasformano loro malgrado in uno dei tanti bersagli della repressione franchista, pagando con la vita le fanciullesche passioni politiche.


Emilio Martinez Lazaro, autore conosciuto ai più per pellicole come La voz de su amo e L’altro lato del letto, sceglie di raccontare una drammatica storia iberica per il suo ritorno dietro la macchina da presa. Peccato che nonostante le buone intenzioni e l’ottimo materiale storico a disposizione, Lazaro caschi nella trappola della lacrima facile, dirigendo una pellicola tanto ambiziosa e sentita quanto poco riuscita dal punto di vista emotivo e narrativo. La regia, piatta e pachidermica, trasforma ben presto il minutaggio di due ore in una impegnativa gara di resistenza, salvata esclusivamente dalla scelta fotografica retrò, operata da Josè Luis Alcaine. Non aiuta una sceneggiatura che si rivela mediocre nel momento in cui deve misurarsi con l’approfondimento psicologico dei personaggi, principali e secondari, che entrano ed escono dalle fila del racconto senza soluzione di continuità. Premesse tecniche e di scrittura che portano Le 13 Rose del titolo a non aggiungere nulla al taglio adolescenziale e sognatore dell’incipit, incapaci come sono di spezzare registro e di trasmettere empatica sofferenza persino durante le sequenze degli interrogatori o del tragico finale. Probabilmente la lacuna principale va ricercata soprattutto nella scelta del casting: Gabriella Pession e i suoi lineamenti da dolce bambolina di porcellana mal combaciano con un ruolo che dovrebbe comunicare dolore e supplizio. Non rappresentano un valore aggiunto nemmeno Adriano Giannini e Enrico Lo Verso: il primo, involontariamente autoironico nella parte del commissario di polizia, sembra capitato sul set del film sbagliato, mascherato com’è da gangster anni ’30; appena sufficiente il secondo, monodimensionale e mono espressivo, si limita al contributo minimo indispensabile.


Difficile, con questi presupposti, comprendere il perché delle 14 nomination ai premi Goya. Molto più facile, invece, capire come una pellicola datata 2007 arrivi in Italia nel 2009. Per giunta a stagione cinematografica ampiamente conclusa.


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