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L'ultima casa a sinistra

26/08/2009 10:00

Marco D'Amato

Recensione Film,

L'ultima casa a sinistra

Mentre le televisioni di tutto il mondo trasmettono in continuazione le atrocità del Vietnam e gli Stati Uniti capiscono di aver perso per sempre la propria inn

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Mentre le televisioni di tutto il mondo trasmettono in continuazione le atrocità del Vietnam e gli Stati Uniti capiscono di aver perso per sempre la propria innocenza, un giovanissimo Wes Craven, con l’aiuto del suo fraterno amico Sean S. Cunningham, esordisce alla regia con L’ultima casa a sinistra, una rilettura a budget ridotto ed elevatissimo tasso di violenza de La fontana della vergine di Ingmar Bergman.


La famiglia Collingwood abita in un tranquillo paesotto di campagna ai margini della città e Mari (Sandra Cassel), in occasione del suo diciassettesimo compleanno, ottiene dai genitori (Gaylord St. James e Cynthia Carr) il permesso di andare a vedere un concerto a New York con la sua amica Phyllis (Lucy Grantham). Alla ricerca di marijuana per ravvivare la giornata, le due ragazze finiranno tra le grinfie di Krug (un fantastico David Hess) e della sua banda di pazzi criminali, il sessuomane Weasel e la spietata Sadie. Nonostante i tentativi di aiuto del timido e succube figlio di Krug, Junior, le due ragazze subiranno le peggiori violenze fisiche e psicologiche in un’atroce spirale di brutalità. Convinti di aver ucciso le due amiche, Krug e i suoi si danno alla fuga in macchina, ma l’autovettura li abbandona per strada nel bel mezzo di una tempesta: alla ricerca di un riparo, la banda si rifugerà proprio a casa dei coniugi Collingwood che, dopo aver scoperto la verità, si vendicheranno con crudeltà inumana.


Wes Craven dà vita a uno splatter scioccante per stomaci forti, ad altissimo tasso di sangue, violenze e mutilazioni truculente. Lo stile documentaristico, freddissimo e distaccato, che aumenta in maniera esponenziale l’orrore, diventerà un marchio di fabbrica per gli horror successivi basati su fatti di cronaca reali, uno su tutti Non aprite quella porta. A rendere più soft la vicenda c’è il surreale umorismo di Krug e della sua banda e una coppia di poliziotti piuttosto tonti e francamente inutili al fine della storia; il merito di Craven è quello di aver dato corpo al malessere di una società sommersa da un’ondata di violenza senza precedenti con una serie di scene spesso oltre il limite del disgustoso e tagliuzzate dalle censure di tutto il mondo, Regno Unito in testa (la versione integrale è praticamente introvabile). Questa spropositata carica di violenza ha però anche un’indiscutibile valenza sovversiva nei confronti di una società ancora profondamente chiusa e bigotta: emblematica è la scena in cui i soprusi subiti da Mari e Phyllis vengono intervallati dalla preparazione della torta di compleanno a casa Collingwood; soprattutto i costumi sessualmente liberi delle ragazze presenti nel film e la loro ricerca della droga e del divertimento sono il simbolo di una società in evoluzione, incapace di rispecchiarsi nei valori di quella generazione precedente che, dietro la maschera di rispettabilità e sani principi nasconde una natura insana e feroce.


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