John Woo non ha certo bisogno di presentazioni: la sua carriera, ma soprattutto i suoi film, parlano per lui. A partire dai suoi primi gun-fu movies fino ad arrivare a produzioni hollywoodiane come Face/Off e Mission: Impossible II, Woo è riuscito a imprimere sul granito uno stile caratteristico, influenzando registi di ogni parte del mondo. Chi, se non lui, poteva mettere in scena il più grande film in costume della storia del cinema orientale? 208 d.C. La Dinastia cinese degli Han comincia a dare avvisaglie del suo imminente crollo. Il Primo Ministro (nonché generale supremo dell'Armata Imperiale) Cao Cao decide che è giunto il momento per approfittare della debolezza della corte per prendere il potere sul paese, manovrando l'Imperatore e costringendolo a muovere guerra contro i regni ribelli di Shu e Wu, posti ad Est e a Sud della capitale. La resistenza opposta da Liu Bei e Sun Quan, sovrani rispettivamente di Shu e Wu, all'avanzata delle truppe imperiali, culminerà nell'epica “battaglia delle scogliere rosse”: una guerra sanguinosa che vedrà molti eroi mettere a frutto la loro destrezza e il loro ingegno al servizio della libertà e dei valori confuciani. Definire Red Cliff maestoso è riduttivo: Woo ha riunito quasi tutti i grandi nomi del cinema asiatico (a partire da Tony Leung e Takeshi Kaneshiro) e li ha inseriti in un melodramma storico che è insieme la summa del suo cinema d'azione e delle leggendarie cronache dell'epoca, che non hanno mai smesso di esercitare un fascino a dir poco magnetico sull'immaginario orientale. Tutti gli eroi del periodo Sānguó (dei Tre Regni, per l'appunto) sono ritratti in tutta la loro straordinaria potenza e, al contempo, umanità. Stupisce come Woo non abbia voluto calcare troppo la mano sul genere wuxiapian, rendendo i combattimenti altamente spettacolari – e contemporaneamente omaggiare la leggendaria abilità in combattimento di Zhou Yu & co. – senza dover ricorrere alle esagerazioni tipiche del genere. Non si tratta certamente di un film realistico, ma l'equilibrio fra realtà e fantasia è tenuto ben saldo. E con esso anche la poesia e l'epicità insita nella storia originale, ben portata sullo schermo da attori visibilmente ispirati e dal loro imponente controllo della scena. Red Cliff è un film imperdibile, dunque, per gli appassionati del cinema e della cultura asiatica. O meglio, lo è la versione originale, proposta in due capitoli a sé stanti (Chi Bi, volume primo e secondo): purtroppo in Occidente l'opera magna di Woo è stata letteralmente “costretta” in un unico film della durata di due ore e mezzo, che lascia fuori più di due ore di battaglie, amori, tradimenti e senso dell'onore. Nonostante un ammirevole lavoro di doppiaggio e una discreta opera di traduzione, la scure del montaggio occidentale rovina letteralmente il film colpendo indiscriminatamente e arbitrariamente quel “superfluo” che invece contribuirebbe a creare l'atmosfera, il pathos e la psicologia dei personaggi, e rendendo il film monco di gran parte del suo significato, rifilandoci dialoghi rimaneggiati e situazioni – a posteriori – incongrue. Scelte di questo tipo dettate da un mercato spesso miope lasciano l’amaro in bocca; ma se una grande opera, per avere qualche chance nel circuito mainstream, deve essere forzatamente snaturato, vale la pena l’esportazione di prodotti di tal genere in paesi estranei alla cultura d’origine? Chi Bi merita quattro stelle. La Battaglia dei Tre Regni, purtroppo, solo due e poco più.