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Barbarossa

08/10/2009 11:00

Emidio De Berardinis

Recensione Film,

Barbarossa

1158...

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1158. Nella campagna intorno a Milano un ragazzino salva un uomo dalla furia travolgente di un cinghiale. Si chiama Alberto da Giussano (Raz Degan), milanese, figlio di un fabbro e il misterioso cavaliere a cui ha reso salva la vita è Federico I di Hohenstaufen detto Barbarossa (Rutger Hauer), l’imperatore che sogna un impero universale riunendo la corona che era stata di Carlo Magno. Sarà la prima di una serie di circostanze in cui le loro vite, socialmente e per nascita distanti, si intrecceranno. Passano alcuni anni, Alberto cresce nel feudo milanese, si innamora di Eleonora (Kasia Smutniak), considerata una strega perché sopravvissuta da piccola alla caduta di un fulmine. Federico I sposa la piccola Beatrice di Borgogna (Cecile Cassel) in un matrimonio benedetto dalla veggente Ildegard von Bingen (Angela Molina), e decide di partire alla volta dell’Italia, per assoggettare i Comuni ribelli del Nord e conquistare così il resto della penisola “debole e corrotta” fino alla Sicilia. Il 10 marzo 1162, dopo un lungo assedio, l’imperatore rade al suolo Milano e i pochi superstiti vengono resi esuli e divisi in gruppi, dispersi nel bosco. Alberto vede morire i suoi fratelli, usati dai tedeschi come scudo umano per le frecce “amiche”, e giura di uccidere l’imperatore e vendicare la caduta delle cento torri di Milano. Riunisce i giovani dei comuni sottomessi e umiliati dall’imperatore in “un solo fascio”, come i legnetti che Alberto usa per convincere i lombardi all’unità. Il piccolo esercito sfiderà l’impero in una sanguinosa, ultima battaglia per la libertà e l’indipendenza.


Costato 30 milioni di euro e co-prodotto da Rai Fiction e Rai Cinema, voluto fortemente da Bossi e girato in Romania, Barbarossa è il presunto tentativo italiano di “Kolossal”. Tentativo, perché la pellicola, nata probabilmente come Fiction televisiva, manca di una serietà cinematografica. Il regista Martinelli fa largo uso di crowd replication per i combattimenti, slow motion fuori luogo (quasi ad emulare i 300 di Snyder), addirittura un freeze frame prima di una delle “visioni” di Eleonora, e un’invadenza musicale incessante. Tuttavia, nonostante i numerosi escamotage visivi nel tentativo di accrescere la qualità del suo lavoro, i dialoghi restano quelli di una Fiction televisiva, la Smutniak non viene doppiata, lasciando avvertire una pronuncia italo-polacca che stona col perfetto italiano della piccola Eleonora di pochi istanti prima. I combattimenti sono chiari solo nella mattanza animale, per il resto la scelta di primi piani “in movimento” non risulta essere favorevole alla comprensione dello svolgimento, gettando nella confusione le dinamiche della lotta. Anche i Re Magi fanno la loro comparsa nel film, sotto le vesti di reliquie, insieme ad una Eleonora che come Giovanna D’arco, strega “giusta”, viene condannata al rogo. Alcune scene inoltre rievocano troppo spesso il Braveheart di Mel Gibson rischiando di sembrarne la parodia.


Nonostante le richieste del regista, dopo le intercettazioni tra Berlusconi e Saccà, di non etichettare come politico il suo film, le ideologie che veicola la pellicola sono palesi. Sembra di assistere alla guerra tra il Carroccio e lo “Stato dell’Italia Centralista”. Alcune scelte, come la scena del fascio di bastoncini sono imbarazzanti e il resto d’Italia, Roma in primis, è definita “debole e corrotta”, facile da assoggettare. Persino il finale da “e vissero felici e contenti”, con i primi piani degli attori al ralenty, è in realtà una trovata infelice. Considerate le pretese e l’ambizione da “kolossal”, Barbarossa è decisamente un film fallimentare, antistorico e fazioso.


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