Gangster-movie superprodotto per Michael Mann che prova a rinverdire uno dei grandi filoni hollywoodiani proponendoci la storia di uno dei più famosi criminali americani, John Herbert Dillinger: una vera e propria leggenda, l’icona della Grande Depressione. Nel periodo più tetro della Storia americana, quando il Grande Sogno si era tramutato nel peggiore degli incubi, il Popolo aveva eletto Dillinger a novello Robin Hood: un rapinatore elevato a paladino perché toglieva alle banche ciò che le banche avevano rubato alla gente, vendicando milioni di persone ridotte alla fame dal crollo della Borsa. Circondato da un’aura mitica dovuta al sensazionalismo suscitato dai suoi colpi, alle tecnologie all’avanguardia utilizzate durante le rapine, ai suoi modi da gentleman e soprattutto alla straordinaria destrezza nel programmare e portare a termine evasioni impossibili, Dillinger, ghigno stampato in faccia, cappello di sbieco e mitra Thompson tra le braccia, è uno dei simboli assoluti degli Stati Uniti degli anni ’30. Mann ne ripercorre le grandi imprese, l’estenuante caccia del Bureau of Investigation e del suo segugio Melvin Purvis e indaga inoltre la vita privata del rapinatore di Indianapolis. Nei panni di Dillinger si cala il camaleontico Johnny Depp, abilissimo a coniugare le sfaccettature di un freddo criminale, spietato ma non privo di una rigorosa etica, uomo taciturno e riflessivo ma anche showman consapevole della sua incredibile popolarità e dell’affetto della gente: ne è la summa la lunga sfilata di Dillinger nell’auto della Polizia, tra due ali di folla che lo salutano e la scena della famosa foto con i poliziotti che lo hanno arrestato in cui Depp può dare briglia sciolta a tutta la sua vena istrionica. Il contraltare al personaggio di Depp è la sua nemesi, l’uomo di punta della Polizia Investigava, l’algido e implacabile Melvin Purvis, interpretato da Christian Bale, chiaramente messo in ombra dalla verve del protagonista. In un film che si rifà, piuttosto esplicitamente, a Gli Intoccabili, manca proprio uno degli elementi cardine del lavoro di De Palma: il continuo duello tra due personalità completamente diverse ma ugualmente forti, il contrasto tra la potenza magnetica dello straripante Capone di De Niro e l’irriducibile Eliot Ness di Costner. Qui il ruolo di Bale è più “da retrovie”, mentre viene dato ampio spazio al romanzo sentimentale di Dillinger, esaltandone la figura di criminale sui generis, insistendo particolarmente – e qui Mann si dimostra regista scafato e smaliziato – sul suo rapporto con la guardarobiera Billie Frechette (la bravissima Marion Cotillard). Decisamente più interessante il racconto storico di un periodo difficile e complesso, della progressiva inversione di tendenza della Polizia nell’utilizzo dei propri metodi di indagine, sempre più tecnologicamente raffinati ma anche sempre più brutali e spietati per fronteggiare un’ondata di criminalità senza precedenti: un processo che porterà alla nascita del moderno FBI. Visivamente eccezionale e curatissima la ricostruzione della Chicago della Grande Depressione, delle Banche, degli edifici e luoghi storici della vita di Dillinger (il rifugio dell’albergo Little Bohemia, il carcere dell’Indiana, teatro di una delle sue più spettacolari evasioni) e delle numerosissime armi e auto d’epoca. Un film che osando di più si sarebbe potuto inserire nella scia dei capisaldi del genere ma che non riesce a coinvolgere a pieno lo spettatore mancando spesso di pathos e di quella vena epica che da sempre accompagna la narrazione delle grandi Storie Americane.