La visione di un film come Up finisce inevitabilmente per scatenare un certo numero di riflessioni. Una delle più urgenti, in realtà, riguarda la sorte per alcuni versi ingrata di autori (anche se nel nostro caso si fa riferimento a un pool di autori, capitanati da John Lasseter) condannati dalla loro stessa maestria a veder normalizzato ogni loro capolavoro. È il caso di Lubitsch, Allen o, volendo rimanere nell'ambito dell'animazione, del Miyazaki padre; di film in film, è inevitabile temere che anche la Pixar rischi di finire "vittima" di quello stesso magistero che le ha consentito di rinnovare e dare nuovo lustro ad un genere che pareva avviato verso ben diversi binari. Il tutto con un corpo di opere incredibile per coerenza e fattura, all'interno del quale da oggi possiamo inserire senza patemi anche Up. Ciò che sorprende in prima sede del film di Pete Docter (già apprezzato in Monsters, Inc.) è la sua forte individualità, capace di distinguerlo dal resto delle opere di casa Pixar, ma, allo stesso tempo, di costituire un prolungamento tematico e ideologico di quel corpus di lungometraggi. Gioia nel raccontare, contaminazione di fantastico e reale, così come il richiamo, ormai tipico, ad un microuniverso che riesce quasi a far interagire realtà e fantasia in un continuo gioco di specchi: perché se ormai potremmo anche fare a meno di esaltare l'aspetto tecnico, oppure di snocciolare i crudi numeri (dalle palette cromatiche, ai palloncini che sollevano la casa del nostro protagonista; per non menzionare che Up è il primo film Pixar girato appositamente per la tecnologia 3D), non possiamo non apprezzare come alla cura maniacale dell'aspetto tecnico faccia sempre da controparte la componente più narrativa e squisitamente poetica. La sceneggiatura è rigorosa e puntuale, con vaghi echi di un certo cinema classico di genere (peraltro camuffato, rivisitato, rielaborato): ma l'aspetto ancor più interessante e fascinoso consiste nella maturità dello sguardo registico, nel modo in cui, coniugando detta sceneggiatura con la variegata gamma di modalità offerte dalla così detta sintassi cinematografica, le cascate sognate da Carl Fredricksen acquistano uno spessore tutto nuovo e pressoché universale che interviene sulla stessa immaginazione dello spettatore, sia questo bambino o adulto. L'elemento sublime del film sta proprio in questa fuga dalla realtà e nel viaggio verso il sogno; così come nella connotazione emotiva che Docter riesce a dare e a dosare con sapienza, riuscendo a non cadere mai nel sentimentalismo. I primi dieci minuti di Up, in quest'ottica, sono esemplari: la storia di due vite (di Carl, l'anziano protagonista, e della moglie Ellie), raccontate senza parole o scene non necessariamente ricche di mordente drammatico, ma attraverso piccoli gesti e atti quotidiani.