Il Re degli zombie è tornato. A due anni di distanza dalla sua uscita ufficiale, proprio mentre a Venezia viene presentato il nuovo capitolo Survival of the dead, approda finalmente in Italia questo Diary of the dead, quinto lavoro di George Romero sui cadaveri antropofagi. Ed è assolutamente straordinario come il regista di origini cubane, a quarant’anni dal leggendario La notte dei morti viventi, riesca ad utilizzare l’ultra abusato filone degli zombie-movies per veicolare i suoi incubi apocalittici e le sue riflessioni sociologiche creando (quasi) sempre piccole gemme. L’Apocalisse romeriana è, al solito, immediata e inequivocabile: un gruppo di giovani studenti di cinema, intento a girare un film horror, ascolta incredulo alla radio una notizia surreale e agghiacciante: i morti tornano in vita. Tra scetticismo e terrore, in equilibrio tra il silenzio dei media ufficiali e del Governo, e le spaventose immagini che rimbalzano sulla rete, Jason Creed decide di documentare con la sua videocamera, sottoforma di diario filmato, la loro fuga verso la salvezza. La visione dello spettatore è quindi quella soggettiva della telecamera di Jason: un espediente simile solo nella forma, ma non nella sostanza, a quello utilizzato in The Blair Witch Project; si accosta molto di più, invece, a quello dell’acclamatissimo Rec, ma è bene chiarire che, nonostante in Italia esca solo ora, il film di Romero è stato girato prima di quello di Balaguero. L’artificio serve a Romero per illustrarci il suo punto di vista sulla Tecnologia e sull’abnorme proliferare di informazioni di qualsiasi genere dovute a Internet e alla miriade di blog on line; grazie ai siti di video sarin, come You Tube, ogni singola persona dotata di una semplicissima camera digitale o anche solo di un cellulare può facilmente trasformarsi in un reporter e dire la sua sull’argomento. La meravigliosa libertà che ne deriva, se usata a sproposito, produce solo un rumore di sottofondo, tanto inutile, quanto pericoloso; una quantità di informazioni tale che il nostro cervello ne esce solo più disorientato di prima. La videocamera è un’arma pericolosa quanto quelle convenzionali ed attraverso il suo obiettivo, anche con le migliori intenzioni, si può far vedere solo una realtà mediata, filtrata perché chi è dietro di essa si estranea dalla situazione contingente: come dietro a un muro, non fa più parte dell’ambiente circostante. La “missione informativa” di Jason assume presto toni parossistici che si riassumono nella surreale scena dell’inseguimento nel giardino della casa-fortezza che riprende la scena iniziale del film. Il destino dell’Uomo è segnato: quando all’improvviso arriva il caos ogni nostra certezza viene completamente sgretolata, le nostre sicurezze (anche l’ospedale è pieno di zombies), i nostri punti fermi vengono cancellati. Che possiamo fare quando chi ci governa non sa dove mettere le mani? Chi può proteggerci quando l’esercito si sgretola (guardare con attenzione il pungente spezzone dedicato alla Guardia Nazionale)? E dove possiamo rifugiarci quando anche la nostra famiglia cerca di ucciderci e la lotta per la sopravvivenza ci trasforma tutti in sciacalli senza più un barlume di umanità? Sarà la nostra stessa Natura perversa a spazzarci via, come dimostrano gli ultimi, significativi minuti della pellicola: “Prima erano Loro contro di Noi, ora siamo Noi contro di Loro… ma Loro siamo Noi”. Romero sforna un’altra opera di protesta camuffandola con la carne putrefatta dei suoi morti viventi, senza però assolutamente trascurare la “liturgia” classica di un horror-movie, mantenendo costantemente alta la tensione e nascondendo insidie in ogni luogo. Belle invenzioni (come la piscina piena di morti viventi), “esecuzioni” fantasiose (il professore che usa arco e frecce e una spada medievale) e una buona dose di humor (l’imperdibile visita a casa del pastore hamish e la musica country che fa da sottofondo alla sfuriata della ragazza texana), fanno di Diary of the dead uno dei migliori horror degli ultimi anni. Sperando che per vedere Survival of the dead non si debba attendere altri due anni, diamo il nostro benvenuto a un maestro indiscusso.