Viviamo in tempi ardui e impervi, nei quali i giorni fluttuano simili ad una cometa, destinata a percorrere l’incertezza della propria rotta. Assistiamo al lento declino della nostra razza, del nostro pianeta, e della nostra coscienza, consapevoli di aver contribuito a questo incessante sfacelo. Tra cicliche guerre fredde deflagrate in macerie terroristiche, global warming ed effetto serra serrati puntualmente nel dimenticatoio pubblico, spettri nucleari fin troppo visibili, di ammonimenti sulla precarietà dei nostri giorni ne avremmo abbastanza da sfamare altri pianeti se solo ne chiedessero. Nonostante sembri metterci tutto l’impegno e l’ostinazione possibili, la razza umana resiste alla propria estinzione esistenziale. Tuttavia, in tale congiuntura storica, in un’era in cui la lungimiranza è un lusso che non sempre è possibile permettersi, non è poi così ingenuo lasciarsi affascinare, suggestionare, allarmare da previsioni apocalittiche, profetici influssi new-age, scritti di un passato arcano che annunciano drastici stravolgimenti e svolte millenarie. Ma se il calendario maya avesse ragione, se fossimo davvero prossimi alla fine di un’epoca, siamo sicuri che a tutti verrebbe data una stessa opportunità di salvezza? 2012. A causa della più grande tempesta solare mai registrata, il mondo sta sviluppando un surriscaldamento del nucleo interno col conseguente sfaldamento del mantello terrestre. Il professor Adrian Hemsley (Chiwetel Ejiofor), che anni prima era venuto a conoscenza del rischio di terrificanti ripercussioni sul nostro pianeta, deve riconoscere alcuni errori di valutazione: i primi sintomi della catastrofe vengono accusati anticipatamente rispetto ai tempi stimati, e le falde cominciano incredibilmente a spostarsi. Il cataclisma, di proporzioni cosmiche, è già in atto; violenti terremoti, ondate anomale di centinaia di metri, eruzioni vulcaniche che esplodono squarciando la terra, ogni calamità possibile e immaginabile sta devastando il pianeta. Quando lo scrittore fantascientifico Jackson Curtis (John Cusack) incontra, durante un campeggio con i figli, il predicatore visionario Charlie Frost (Woody Harrelson), questi delira a proposito di un piano segreto di salvataggio messo in atto dai governatori di tutte le nazioni mondiali. La fine del mondo non è ancora stata annunciata, ma qualcuno ha già deciso chi sarà destinato a salvarsi per proseguire la specie. La cinematografia di Roland Emmerich è percorsa da ciclici reboot a episodi: il suo set favorito (New York, Washington, l’America, il pianeta intero) è stato teatro di attacchi alieni, messo a fuoco e fiamme da pantagruelici rettili furoreggianti, inondato da glaciazioni e travolto da cataclismi ambientali, con una furia distruttrice e un accanimento rinnovati in deliri apocalittici di volta in volta più catastrofici. Ma la chiave di lettura rimane sempre la stessa: il regista di 2012 punta a spremere l’attività sensoriale dello spettatore col suo usuale e funesto tripudio visivo di disastri naturali, lascia intravedere le viscere magmatiche della terra che si spacca sotto i piedi, disintegra intere metropoli sotto la portata esiziale di tsunami impressionanti. La febbrile ondata di spettacolarità , di prodigioso sensazionalismo mentre monumenti simbolo dell’umanità crollano in macerie (il Cristo Redentore di Rio de Janeiro divelto dalle terrificanti scosse sismiche, così come la Statua della Libertà in The Day After Tomorrow, o l’Empire State Building in Indipendence Day), sono le colossali trovate di un ludico spasso demolitore, che si appiglia a un ritmo sostenuto per mantenersi in costante tensione e studiato per l’intrattenimento più sfrenato. In questo trionfo visivo, chiaramente, le dinamiche narrative restano in secondo piano, come pure le profezie maya, relegate sullo sfondo, deludendo chi si aspettava una maggiore e più avvincente gradazione di mistero (alla Stargate, per intenderci); fanno invece da collante, a tenere ben salda la confezione rigorosamente a stelle e strisce, l’enfasi emotiva moralizzante e patriottica, il riscatto dell’uomo comune che si ritrova ad essere eroe, e il riscatto dell’eroe (qualora ne avesse bisogno) di scendere tra la gente comune e sacrificarsi con loro. In questo post-moderno diluvio universale, a rimanere intatta è soltanto una coerenza di fondo che contraddistingue il lavoro di Emmerich: in anni in cui non si fa altro che parlare di fine del mondo, volevate che il destroyer cinematografico per eccellenza non scendesse in campo a propagare la propria pirotecnica voce in capitolo?