Aman (Said Sabrie) è un ragazzo somalo trapiantato a Roma a soli quattro anni per scappare all’atroce guerra che gli aveva portato via entrambi i genitori e la sorella. Aman è un ventenne tanto intelligente da capire che lavare (piuttosto che vendere) le macchine in un autosalone è una forte limitazione del proprio talento dialettico ed intellettuale. Di notte insieme al suo amico Said si rifugia in una terrazza all’Esquilino da dove si domina tutta Roma. Quando Said decide di partire per cercare lavoro a Londra Aman continua ad andare su quella terrazza, da solo, per rifugiarsi nel rumoroso silenzio della Capitale. Qui incontra Teodoro (Valerio Mastandrea), un ex pugile che non esce dal proprio palazzo da tre anni. I due capiscono subito che qualcosa li accomuna e che la solitudine si sconfigge più semplicemente in compagnia. Già visto a dirigere molti cortometraggi tra cui Aria (molto apprezzato dalla critica internazionale), Claudio Noce firma il suo debutto alla regia in un lungometraggio. Per Good Morning Aman bisogna scindere l’analisi riguardante la regia e quella sulla trama. Per quanto riguarda l’aspetto formale l’opera prima di Noce incoraggia i sostenitori del cinema tricolore riconoscendo sin dalle prime sequenze, nelle riprese e nella passione con cui si muove la telecamera, un grande talento. Il giovane regista romano, per sua stessa ammissione, si ispira a due autori che si trovano in qualche modo agli antipodi per la tipologia di cinema espresso, uno è Martin Scorsese con la sua efficacia descrittiva, mentre l’altro è John Cassavetes con il suo realismo intimo e familiare. Le riprese infatti sono perfettamente allineate con ciò che succede nelle varie sequenze, alternando molti, forse troppi, primi piani a riprese fotografiche in cui gli attori recitano sullo sfondo di una Roma cosi intimamente descritta da sembrare in qualche modo diversa da quella che il cinema italiano, e non solo, ci ha abituato a vedere. Purtroppo per il talento lampante di Noce non ci sono una storia ed una sceneggiatura solide a supportare la sua opera prima. Il film infatti appare troppo cervellotico ed in qualche maniera, come rovescio della medaglia, troppo interiore per poter far immergere appieno lo spettatore nelle vicende di Aman e di Teodoro, nonostante le splendide interpretazioni del giovane Sabrie e del sempre più “depresso dalla battuta facile” Mastandrea, in grado di alternare con semplicità innata struggenti sequenze a momenti di geniale quanto disarmante comicità. Non c’è, dunque, un adeguato bilanciamento tra una più che promettente linea autoriale e una storia a tratti troppo gravosa e chiusa in se stessa per permettere allo spettatore di avvicinarsi emotivamente alle disavventure dei due protagonisti.