Luigi è un bambino che vive in una città di provincia e proviene da una famiglia emarginata. Il padre è sempre in galera, fratelli e sorelle sono poco presenti e la madre è stanca di dover sempre pensare a tutto. Il piccolo mostra subito di avere una sensibilità diversa e maggiore rispetto ai suoi fratelli e i suoi compagni di scuola. Senza malizia, Luigi accetta le attenzioni di Angelo – vigile urbano, addetto comunale per l’istituto scolastico – che vengono considerate da tutti quasi paterne. Con il passar del tempo però, gelati, regali, esenzione dal pagamento della mensa scolastica, si rivelano essere la merce di scambio che l’uomo offre alla madre del bambino per commettere abusi sessuali sul figlio. Luigi tenta anche di spiegare alla madre quello che è successo, ma viene deriso e sminuito. Il vigile diviene parte della famiglia, può accedere in casa in qualsiasi momento, e quindi abusare di Luigi con la complicità di sua madre. Gaetano, il giovane cognato del bambino, scopre l’assurdo menage e riesce ad allontanare Angelo da Luigi. Il piccolo sembra stare meglio, ma quando Gaetano muore in un incidente, Luigi è costretto a rielaborare i suoi traumi e ad andare avanti. Divenuto adulto e trasferitosi nella capitale grazie alla sua insegnante di danza, Luigi scopre la sua omosessualità, ma la sua vita continua ad essere segnata da un profondo vuoto, che lo porterà a tentare il suicidio. Grazie agli amici che ha incontrato strada facendo, riuscirà a migliorare se stesso e la sua vita. Senza amore vorrebbe essere il racconto delicato di una storia vera che Renato Giordano, attore e regista teatrale, ha cercato di riportare senza cadere nel patetico o nella scontato, tentando di analizzare i fatti con la crudezza con cui si sono svolti. La vicenda ci mostra come questa possa essere la storia di molti giovani socialmente emarginati, e vuole riflettere su cosa possa essere la vita, appunto, “senza amore”. Il problema è che la disarmante semplicità con cui vengono girate e montate le scene, conferisce al film l’idea di “laboratorio parrocchiale di lungometraggio”, in cui gli attori sembrano essere scelti con chi si aveva a disposizione. Dialoghi superficiali e banali, inquadrature amatoriali e prove recitative ai limiti dell’improvvisazione, rendono la pellicola quasi la ripresa di una recita scolastica. Solamente Giordano e Carlo Alberto Verusio (Luigi bambino), sono convincenti nella loro espressività e interpretazione. Nel cast Francesco De Vito è il vigile Angelo, Fausto Verginelli il giovane Gaetano, Lidia Vitale (La meglio gioventù) la madre Rita, qui di certo non alla sua migliore prova. Si può apprezzare il tentativo di raccontare un tema delicato come quello della pedofilia cercando di essere il più onesti possibili, ma i livelli de La mala Educacion di Almodovar o anche di Animanera di Verzillo, non sono neanche accostabili. Uniche note positive del film: il piccolo cameo di Giacomo Furia, caratterista di vecchia scuola e spalla di Totò; la rappresentazione degli omosessuali come persone normali e non eccentriche macchiette in discoteche luccicanti; la folgorante bellezza di Marco Cacciapuoti (Luigi adulto), che riesce a distrarre dalla mediocrità della sceneggiatura. Una prova d’esordio che forse sarà servita a dar voce al vero Luigi a cui si ispira il film, ma che non aiuta Giordano a trovare credibilità nel panorama del nostro cinema. Almeno per ora.