Il vissuto autobiografico è sempre una enorme fonte di ispirazione per la maggioranza degli autori cinematografici e artistici in genere. E i luoghi, le vicende d'infanzia lasciano sempre un segno indelebile addosso a chi li ha percorsi: un segno poi spesso trasferito sui personaggi del racconto, ricchi di esperienze di vita impresse a fuoco per non essere dimenticate. A testimoniarlo, nel cinema italiano, tanti registi: Tornatore, Rubini, Verdone, Virzì; proprio gli ultimi due propongono, nei primi giorni del 2010, affreschi familiari da classica commedia all'italiana. La prima cosa bella, decimo film del regista livornese, prende il nome dalla canzone che Nicola di Bari portò al successo nel '71, anno in cui le vicende di Anna, Bruno e Valeria hanno inizio. Bruno (Valerio Mastandrea) è un depresso professore di italiano in un istituto alberghiero milanese: vive apaticamente rifuggendo ogni stimolo e anzi cercando ogni scusa per allontanarsi da una fidanzata affettuosa e dalla famiglia lontana, rimasta nella natìa Livorno. La sorella minore Valeria (Claudia Pandolfi) decide di riportarlo a casa per fargli porgere quello che, molto probabilmente, sarà il suo ultimo saluto alla madre Anna (Stefania Sandrelli), ricoverata in terapia palliativa. Inizia così un viaggio nei ricordi, che sfocerà in un lungo e tortuoso sentiero di riconciliazione col presente. La prima cosa bella è innanzitutto un film caldo, nonostante l'atmosfera umida di Livorno che fa da palcoscenico alla vicenda: come in tutti i suoi film, anche qui Virzì parla di persone, accadimenti agrodolci di vita vissuta. Ma è questa forse la sua opera più personale, intima. A partire dai blandi riferimenti autobiografici per arrivare alla comprensione - splendidamente impressa su pellicola - di un bene familiare che oltrepassa ogni barriera. Il regista, sfruttando le capacità recitative di Valerio Mastandrea, perennemente triste e imbarazzato, nonché abile nel sottintendere il contesto psicologico del suo personaggio, interpreta un ragazzo che, come tanti, dalla vita ha imparato a non avere certezze, anzi a temerla. L'unica certezza che possiede è l'amore di una madre, talvolta sciocca e sconsiderata, eppure adorabile e vitale, con la quale ha vissuto rocambolesche avventure di cui avrebbe forse fatto volentieri a meno, ma che lo hanno formato e reso ciò che è oggi. Abbandono, tradimento, sconsideratezza, sacrificio, riavvicinamento, perdono, amore familiare: sono tante le tematiche sfiorate con delicatezza da Virzì e dai co-sceneggiatori Piccolo e Bruni. Quello che può sembrare un semplice amarcord si rivela invece una favola piacevole dal lieto fine; non c'è un triste compiacimento o un nostalgico rimpianto, al contrario, in fondo alle lacrime si nasconde la gioia e un profondo senso di consapevolezza. Grazie anche ad un cast eccellente - un plauso va in particolare a Micaela Ramazzotti per la sua interpretazione semplice e autentica - il film stupisce e rincuora. «In questo film si sente come il bisogno di far pace con la vita», ha affermato Virzì alla conferenza stampa di presentazione del film: e infine, non possiamo dargli torto.