
Sono soprattutto due i generi che il cinema dell'estremo oriente ha sdoganato verso ovest: l'horror e il gangster movie, declinati naturalmente nella loro accezione più orientale. I gemelli Pang li hanno fatti propri entrambi: conosciuti ai più per il loro horror metafisico e psicologico The Eye (dal quale sono stati tratti un remake indiano e la poco fortunata pellicola omonima con Jessica Alba uscita nel 2008), i Pang hanno all'attivo un discreto numero di pellicole piene di orrori e maledizioni. Ma la loro fortunata e prolifica collaborazione con l'industria del cinema thailandese li ha spesso portati ad avventurarsi fra i vicoli più bui e sporchi di Bangkok, sui passi degli efferati gangster delle mafie locali. Nasce così Bangkok Dangerous, primo vero film del duo, che andrà poi a collocarsi come primo episodio dell'ideale “trilogia di Bangkok”, per il resto composta da One Take Only e 1+1=0. Alla fine del ventesimo secolo, Bangkok è più sporca, affollata e corrotta che mai. Kong (Pawalit Mongkolpisit) è un giovane sordomuto che lavora come killer a pagamento: il suo socio e mentore Jo (Pisek Intrakanchit) ne ha scoperto il talento mentre questi faceva il garzone in un poligono, e da allora l'ha accolto come un fratello, insegnandogli tutto quel che sa e donandogli l'affetto che gli è sempre stato negato per colpa del suo handicap. La loro è una vita di routine, trascorsa ad aspettare il prossimo incarico, passato loro da parte del capo della gang locale tramite le mani dell'avvenente ex di Jo, la ballerina Aom (Patharawarin Timkul). Quando però Kong comincia ad affezionarsi ad una dolce farmacista del tutto ignara della sua vera vita, nell'immaginario di Kong si innesta un meccanismo di impossibile pacificazione fra il suo mondo e quello della ragazza. E il tutto proprio alla vigilia di un incarico estremamente importante e rischioso: l'uccisione di un politico particolarmente benvoluto dalla gente. Per il loro esordio i Pang filmano una pellicola ricca di accesi ed inconciliabili contrasti. Vermigli titoli di testa che scorrono su un inarrestabile rivolo di sangue nero; assordanti mercati e discoteche attraversate con calma e tranquillità da chi non riesce a sentire chi lo implora di aver salva la vita, ma intende il grido dell'amore disinteressato; pugni e pallottole che, volutamente, più che in bullet time sembrano riprese in stop-motion; dolori che invece arrivano dritti al cuore più improvvisi e letali di un colpo di pistola. Sfruttando una sinergia particolare fra musica e immagini, i fratelli Pang danno un'impronta personalissima a questo film: la colonna sonora è assolutamente aggressiva, mentre le immagini sfilano in un'alternanza di toni pacati e convulsi, ora sfruttando il bianco e nero, ora uno sbiadito colore, altri ancora il buio di un locale o un'estrema sovrabbondanza di luci e colori. Un film saturo, che fa di questo suo ritmo sincopato il punto di forza, anche quando la storia fa fatica ad ingranare. La vicenda si svolge infatti in maniera eccessivamente lineare - nonostante i numerosi inserti di flashback volti a far rivivere agli spettatori il passato di Kong - e porta ad un confronto finale che, per quanto significativo, lascia lievemente delusi per altre potenzialità che la storia ha lasciato inespresse. Rimane, tuttavia, un film piacevole da guardare non solo per gli estimatori del genere e dell'ambientazione spiccatamente anni '90.