Jomar Henriksen (Anders Baasmo Christiansen) è un operaio addetto alla manutenzione di impianti sciistici nel nord europa. Alcolizzato, burbero, senza amici e imbottito di psicofarmaci, l'uomo conduce una vita solitaria, lontana dagli agi e dai piaceri che le compagnie riescono a dare. Reduce da una brillante carriera sciistica stroncata da un incidente, Jomar ha perso, oltre al successo, anche una moglie, ora sposata con il suo amico e rivale Lasse. Una sera, inaspettatamente, quest’ultimo fa visita all'eremita per avvertirlo che dopo la sua assenza, l'ex moglie ha partorito un figlio, del tutto ignaro dell'esistenza di Jomar. Mosso da un biologico istinto paterno, l'uomo si dirige verso il nord alla ricerca di suo figlio, armato solo di una motoslitta e di cinque litri di alcol, pronto a superare tutte le intemperie pur di riconciliarsi con la famiglia perduta. Durante il viaggio incontrerà i personaggi più disparati, riscoprendo quelle sfaccettature del mondo che da solo si era negato: una corsa – letteralmente – che lo porterà a riabbracciare la vita, come in una rinascita. Nord è un film che parla di un nuovo inizio, un via dato da un figlio mai conosciuto e di cui un padre ha bisogno di essere parte. A metà strada fra Ogni cosa è illuminata ed Eldorado road, la pellicola cerca di raccontare, avvalendosi di tanta immagine e poca comunicazione verbale, una storia grottesca, ricca di sfumature e tinta di gelo e passione. Purtroppo però, i ritmi blandi di Nord non riescono a intrattenere lo spettatore con la maestria di cui avrebbe bisogno. La scarsa varietà visiva che paesaggi come quelli norvegesi offrono, limitata a distese innevate e sporadiche abitazioni in legno, non riesce ad essere colmata dall'ironia di cui alcune scene si impregnano. Il personaggio di Jomar non riesce a toccare le corde emotive dello spettatore, nonostante l'innegabile bravura di Christiansen (attore affermato e dalle indicutibili capacità ) che però si trova praticamente da solo a reggere la baracca. Forse convinto di poter ammaliare il pubblico con delle immagini che finiscono con il viziare l'occhio, il regista Rune Denstad Langlo (nonostante i riconoscimenti conferitigli) ha peccato di ingenuità , girando il suo primo film in modo eccessivamente estetico, sacrificando il giusto equilibrio tra l’immagine e lo svolgimento dell’intreccio che, da par suo, avrebbe avuto molto più da raccontare.