Di strada ne ha fatta parecchia Ferzan Ozpetek. Dall’esordio cinematografico del 1996 con Hammam – Il bagno Turco, la sua è una carriera contornata da successi (Le fate ignoranti, La finestra di fronte, Saturno contro), da voli pindarici (Cuore sacro) e da pellicole tratte da romanzi noti al grande pubblico (Un giorno perfetto). Il 2010 regala un Ozpetek d’annata, come un buon vino del Salento, terra della famiglia Cantone protagonista della nuova pellicola del regista.
Tommaso, il figlio minore dei Cantone, viene convocato per definire la gestione dell’importante pastificio di famiglia, fondato dalla nonna. Il ragazzo decide di rivelare, in occasione di questa riunione, la propria omosessualità e la scelta di diventare scrittore. Confidatosi con il fratello maggiore Antonio, Tommaso non sospetta che verrà preceduto nell’annuncio proprio da Antonio che ammette di fronte a tutti di essere gay, gettando nello sconforto padre e madre. Tommaso si trova così incastrato e non sa più come riprendersi la propria vita.
In Mine Vaganti il nucleo familiare è il fulcro dell’intero sistema di rapporti che sostengono quasi interamente l’intreccio. Nascondersi o rivelarsi: questo è il dilemma di Tommaso, sebbene in fondo sia il bivio su cui quasi tutti i membri della famiglia si trovano a scegliere. In casa Cantone non sembra esserci spazio per la diversità di chiunque. Persino zia Luciana è costretta a soffocare nell’alcool la propria vitalità; persino Elena, la figlia femmina è impedita nell’esprimere la propria intelligenza e le proprie capacità. Spesso è tra i propri congiunti che è più difficile essere se stessi e allora meglio non lasciarsi intrappolare dalla rete parentale ed essere liberi di costruirsi anche un’altra famiglia, quella degli amici, quella dell’affetto reale, voluto e cercato, quello dell’amore che “ci fa sentire fortunati”. L’intersecarsi dei toni della commedia e del dramma avviene senza sforzo e questo è il pregio maggiore del film. Gli equivoci e le battute divertenti si pongono specularmente ai fatti, illuminandoli di una luce sottile. La sceneggiatura, scritta dal regista turco con Ivan Cotroneo, si sofferma sulla realtà della provincia italiana, mettendone in evidenza il perbenismo e l’ipocrisia, ma lo fa bonariamente, senza critica e senza sarcasmo, perché si sa, “noi italiani siamo così”. La regia di Ozpetek torna anche in Mine vaganti agli stilemi tipici del suo cinema, questa volta però le grandi tavolate o i personaggi meno omologabili non sembrano posti forzatamente dall’alto, né rappresentano una scorciatoia, ma trovano una collocazione spontanea e necessaria. La bella fotografia di Maurizio Calvesi esalta l’ambientazione affascinante del leccese - fantastica la sequenza iniziale in cui il decorativo vestito da sposa di Carolina Crescentini si scontra con l’architettura e la natura essenziali che la circondano. La colonna sonora come sempre incornicia alla perfezione le ottime interpretazioni dell’intero cast, su tutte spiccano quelle di Ennio Fntastichini, Lunetta Savino, Elena Sofia Ricci e la meravigliosa Ilaria Occhini.