Dopo l’originale Crank, i registi Mark Neveldine e Brian Taylor firmano Gamer, film di fantascienza con venature cyberpunk che racconta gli eccessi di una società non troppo diversa dalla nostra. Siamo nel 2034, il mondo è affascinato da due nuove forme d'intrattenimento, evoluzioni distorte di un videogioco e di un social network, rispettivamente “Slayers” e “Society”. I due programmi permettono agli utenti il controllo diretto di avatar umani, impossibilitati ad opporsi ai comandi che ricevono tramite un sofisticato sistema che agisce a livello neuronale. Il realizzatore di queste due mostruose aberrazioni, messe in piedi con il beneplacito di un sistema politico economicamente alle corde, è Ken Castle (uno schizatissimo Michael C. Hall), personaggio inquietante, genio cinico, eccessivo e assolutamente convinto di dover avere il controllo sulla realtà che lo circonda. Se "Society" è la versione estremizzata di Second Life, un mondo fittizio in cui ha preso il sopravvento la perversione dei costumi sessuali e la propensione a soddisfare le più triviali pulsioni attraverso la maschera del proprio avatar umano, "Slayers" è il fenomeno mediatico del momento: ai detenuti del braccio della morte di un carcere è stata promessa la libertà se sopravviveranno a 30 partite del gioco, un’evoluzione degli sparatutto in cui pallottole ed esplosioni sono tremendamente reali. Vera star di "Slayers" è Kable (Gerard Butler), combattente giunto a 28 partite vinte sotto la guida di Simon (Logan Lerman), le cui imprese sono seguite in diretta tv da fan di tutto il mondo. Kable, incarcerato per un omicidio di cui non è responsabile, spera di vincere il gioco per tornare da sua moglie (la bella ex top model Amber Valletta) e sua figlia. Ad aiutare Kable nella sua impresa, oltre ad un restio Simon, ci sarà un gruppo di hacker intenzionati a fermare il folle gioco di Castle, gli intenti del quale sembrano andare ben oltre il mero intrattenimento del mondo... Gamer è un film di inaspettata qualità: le scene d’azione all’interno di "Slayers" e la resa estetica del mondo di "Society" sono estremamente caratterizzate e diversificate, capaci di rimandare ai propri archetipi con assoluta precisione e coerenza, denunciando una conoscenza del medium videoludico non comune fra i film-makers. Neveldine e Taylor possono dunque vantarsi di essere stati i primi registi a saper portare sul grande schermo, in maniera coerente e consapevole, le caratteristiche formali di un videogioco, amalgamandole a quelle cinematografiche e costruendo un sincretismo audiovisivo di assoluto impatto e qualità. Alla bontà del comparto visivo si unisce infatti anche un’ottima colonna sonora, che scandisce un montaggio davvero accurato, del quale le scene di apertura sono fra gli esempi più efficaci. Ma i pregi di Gamer non si fermano all’aspetto formale: attraverso le modalità espressive di un action il cui plot è persino prevedibile, il film riesce a costruire una denuncia impietosa ed estremamente cinica della degenerazione della società contemporanea, spinta alle estreme conseguenze nella ricerca della spettacolarizzazione di sesso e violenza, ma annichilita nella sua capacità di promuovere l’individuo e la sua libertà di pensiero, al punto che Castle arriva ad ipotizzare che a molti degli “attori” dei suoi giochi piaccia davvero non dover pensare con la propria testa. Dimostratisi capaci di sfruttare i nuovi media e i loro linguaggi senza scadere nel retorico, Neveldine e Taylor sono anche abili nell’inserire delle sottotracce che rimandano a temi specifici della cultura videoludica, come i rischi di un uso eccessivo o la dicotomia hardcore gamer/casual gamer, riconoscendone, senza nasconderne i limiti, il valore: la consapevolezza è la chiave dell’utilizzo di ogni medium, al punto che sono proprio i vessatissimi hacker, appassionati giocatori, a denunciare e combattere gli eccessi e le degenerazioni di un gioco che non è più un gioco.