Dopo due anni di assenza torna in scena Jason Bourne, l’agente affetto da un'amnesia totale del suo passato. The Bourne Supremacy, tratto dal libro di Robert Ludlum Doppio Inganno riprende la narrazione da dove il primo episodio si era concluso. La sostanziale differenza con il primo capitolo riguarda il regista, al posto di Liman questa volta troviamo Paul Greengrass, e la sua mano non passerà inosservata. Offuscati e distorti momenti si ripresentano di continuo nella testa di Bourne: è il passato che torna alla mente, e con il quale dovrà tornare a fare i conti. Jason e Marie conducono, in India, a Goa, la loro vita lontani da occhi indiscreti. Ma la CIA ha occhi ovunque ed invia sul luogo un killer professionista al fine di eliminarli. I due fuggono ma solo Jason riuscirà a salvarsi. Come se non bastasse a Berlino un progetto è in atto, un piano per poter colpire Bourne in modo da poterlo accusare. Scordiamoci quanto visto nel primo episodio. In questo cambia molto, non tanto dal punto di vista contenutistico dove la ricerca imperterrita sul passato dell’ex agente segreto continua, bensì dal punto di vista tecnico-narrativo. Doug Liman aveva creato un discreto thriller con il primo episodio, Paul Greengrass però decide di dare un tocco personale all’opera portando alle estreme conseguenze quello iniziato dal suo predecessore. Girato in stile documentaristico, in modo estremamente mosso, ricco di tagli e di punti di vista diversi, The Bourne Supremacy si muove su ritmi infernali, al punto che per tutta la prima sequenza si ha come l’impressione di non riuscire a seguire ciò che avviene. Questa modalità di narrazione, molto presente, permette di dare dinamicità , velocità ed immediatezza ma al contempo può distrarre lo spettatore, disorientandolo. Il montaggio ultra-serrato, al limite del sopportabile, può affaticare la visione al punto da non riuscire a seguire le varie vicende narrate, molteplici e concatenate fra di loro. E guardare un film thriller-spionistico senza riuscire a seguire i passaggi è assai limitante. Del resto la scelta di Greengrass come autore portava con sé questo rischio: già il suo precedente lavoro Bloody Sunday col quale vinse l’Orso d’Oro a Berlino era stato girato in modo analogo. Superate le eventuali difficoltà di fruizione, l’opera risulta essere assolutamente coinvolgente. Jason deve riprendere la memoria mettendo insieme pezzi di un puzzle indecifrabili, noi invece dobbiamo seguire il vorticoso ballo di immagini orchestrato dal regista per ottenere infine la nostra supremazia sulla visione.