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Va' e uccidi

26/03/2010 12:00

Luca Lombardini

Recensione Film,

Va' e uccidi

Il Sergente Raymond Shaw torna in patria al termine della Guerra in Corea insignito della Medaglia d’Onore...

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Il Sergente Raymond Shaw torna in patria al termine della Guerra in Corea insignito della Medaglia d’Onore. Gli insostenibili incubi che tormentano il Capitano Bennett Marco lo convincono ad indagare sul vecchio compagno d’armi: scoprirà un piano politico che vede alleati scienziati sovietici, cinesi e politici americani.


Rarissimo esempio di trasposizione cinematografica potenzialmente superiore rispetto alla matrice letteraria d’origine, The Manchurian Candidate è senza ombra di dubbio il miglior film di John Frankenheimer. Primo passo di quella che a posteriori verrà criticamente interpretata e riletta come la trilogia della paranoia (percorso che comprende i successivi Sette giorni a maggio e Operazione Diabolica). Và e Uccidi è molto di più che un semplice thriller fantapolitico. La pellicola vede la luce nel 1962, appena un anno prima dell’assassinio di John F. Kennedy. Opera profetica quindi, e dai dichiarati intenti storici. Rimandi e richiami “lincolniani” fanno capolino spesso e volentieri attraverso busti e ritratti raffiguranti il sedicesimo presidente degli Stati Uniti assassinato nel 1865, mentre il fendente scagliato contro la maccartista caccia alle streghe non accenna mai a diminuire d’intensità durante l’intero evolversi della narrazione. Frankenheimer eredita dal romanzo di Richard Condon la certezza di come gli schieramenti politici, per quanto superficialmente divisi da colori e bandiere, siano “ambivalmente” alleati, loschi e malvagi. Un’immagine quest’ultima, trattata e affrontata con un matematico alternarsi di registri che, senza mai perdere di alchimia e credibilità, oscilla riuscito tra il ghigno sarcastico e l’amarezza del dramma.


The Manchurian Candidate pone l’accento sulla terrorizzata insicurezza americana durante gli anni della guerra fredda, sterzando sulle possibili derive raggiungibili da una mente spossata, perché sfiancata da esperimenti medico-psicologici finalizzati a lavare, asciugare e stirare il cervello umano; allo scopo di riprogrammare la volontà dell’individuo ad uso e consumo di chi ha accesso al controllo remoto. Oltre che teorico Và e Uccidi si palesa anche come film “familiare”, storia di una madre perfida e dominatrice, alla volontà dittatrice della quale si arrende un figlio dalla personalità nulla, incapace, almeno con i fatti, di vivere la propria vita. Un frangente che spiazza la percezione di chi guarda grazie alla scelta, azzeccata e antagonistica, di Angela Lansbury: rassicurante Signora in Giallo qui nella parte della megera manovratrice e senza scrupoli. Solido e convincente dal punto di vista ideologico, The Manchurian Candidate si dimostra altrettanto compatto, originale ed efficace nella sua accezione squisitamente tecnica e cinematografica.


Visionaria nell’immaginario della messa in scena, la pellicola resta indelebile nella memoria grazie a tre sequenze d’antologia: il primo esperimento allestito in un set metà serra, metà anfiteatro; il tuffo di un incosciente Raymond Shaw nel lago e la festa in maschera, con tanto di gigantografia relativa alla carta da gioco in grado di accendere il meccanismo omicida. Non sono da meno, infine, alcuni passaggi surreali inerenti ai dialoghi, primo tra tutti quello che inaugura la futura relazione tra Frank Sinatra (probabilmente nel ruolo della sua vita) e Janet Leigh: «Lei è arabo?» - «No!» - «Lasci che glielo chieda in un altro modo: è sposato?»


All’uscita nelle sale Và e Uccidi si rivelò un vero e proprio fallimento. Rivalutato sul finire degli anni ’80 si è guadagnato prima l’etichetta di cult movie e successivamente l’ingresso nella lista dei migliori 100 film della storia del cinema. L’onesto e nulla più remake di Jonathan Demme non regge l’impari confronto con la grandezza dell’originale.


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