
Un chiassoso e divertente road movie in kippah e salsa kosher: il delirante viaggio di una famiglia di ebrei dai nervi a pezzi verso la Polonia e la sepoltura tanto desiderata dal defunto patriarca. Il regista belga Micha Wald riprende in mano il personaggio protagonista del suo cortometraggio Alice et moi e ne approfondisce i suoi rapporti esplosivi con le tradizioni ebraiche, la religione e la famiglia. Simon Konianski (Jonathan Zaccai) è un uomo in crisi nera: trentasei anni, laureato in filosofia, senza occupazione fissa, si guadagna da vivere facendo da cavia umana per la sperimentazione di nuovi farmaci. Abbandonato anche dalla compagna, una ballerina goy, cioè non ebrea, è costretto a tornare a vivere a casa con il padre Ernest (Popeck), un ebreo ortodosso piuttosto invadente e con la mania dei racconti dei campi di concentramento, storie che tanto appassionano il nipotino prediletto Hadrien. La convivenza tra Simon e Ernest risulta impossibile: i rapporti tra padre e figlio si irrigidiscono infatti sempre di più e solo la morte di Ernest diventa il veicolo di un ravvicinamento tra i due. Gli scontri tra Simon e la sua famiglia sono il simbolo del modo totalmente diverso con il quale le nuove generazioni si approcciano all’Ebraismo e alla storia di Israele: da una parte l’ossessione per l’ortodossia che sfocia nella magia (i talismani che Ernest infila dappertutto) e per il Nazismo che aleggia su qualsiasi argomento; dall’altra la voglia di staccarsi da dogmi così ferrei e lontani dal moderno modo di pensare, la necessità di trattare problemi più contingenti come il conflitto palestinese, non sentiti come irrimediabilmente lontani o “polverosi” come l’Olocausto (da antologia la scena in cui Simon provoca i familiari sulla striscia di Gaza e poi li informa sugli “sfizi” che si toglierebbe con una donna palestinese). A rendere la situazione ancora più esplosiva ci si mettono l’anziano zio Maurice, un vecchietto paranoico terrorizzato dalla possibilità di essere catturato dalla STASI, la zia Mala, ciarliera e impicciona oltre ogni limite e le apparizioni del defunto Ernest, commosso dall’impresa dei suoi familiari ma pronto a intromettersi nella vita di Simon anche da morto. Micha Wald, un po’ come Woody Allen, è un tarlo irriverente che mira a sbriciolare dall’interno le fragili assi della sua cultura, senza risparmiare nulla nella sua divertente e divertita furia iconoclasta: religione, sesso, politica, guerra e, ovviamente, il Nazismo e l’Olocausto. Significativo come proprio nel campo di concentramento di Majdanek in cui il padre aveva vissuto, Simon abbia il suo cambio di prospettiva, il satori, il bagliore che aggrega (nella filosofia zen), che gli permette di guardare con occhio più benevolo la sua famiglia e la sua vita. Scandito da una musica trascinante, Simon Konianski è una commedia briosa, ricca di colore e dal ritmo vorticoso, che non può lasciare indifferenti.