Immaginate di litigare con il vostro fidanzato/a al punto da decidere di porre fine alla relazione. Immaginate di fare un terribile incidente d’auto mentre guidate verso casa, proprio dopo la suddetta litigata. Immaginate di risvegliarvi con una flebo al braccio e una gamba incatenata alla sbarra del letto in una stanza sconosciuta, che sembra tutto fuorché una camera d’ospedale. Immaginate, infine, un uomo che entra nella stanza e vi spiega che vi trovate in un bunker dal quale non potrete uscire almeno per un paio d’anni perché «C’è stato un attacco. Un grande attacco». È proprio questo ciò che accade a Michelle (Mary Elizabeth Winstead), rinchiusa nello spazio claustrofobico di un rifugio antiatomico da Howard (un John Goodman granitico e leggiadro allo stesso tempo), insieme a Emmett (John Gallagher Jr.), volontariamente rintanatosi nell’edificio dopo aver avvistato una strana esplosione all’orizzonte. La ragazza si trova improvvisamente catapultata all’interno di un incubo tremendo, che ha i colori slavati della peggiore incertezza: chi è Howard? Ci si può fidare di lui? In un simile contesto persino scegliere in che cosa sperare diventa difficile. Se Howard dice la verità significa che il mondo oltre le mura del bunker è stato annientato da un disastro di qualche tipo (un attacco chimico? nucleare? un’invasione aliena?); se Howard mente significa che Michelle è finita nelle grinfie di un pazzo maniaco del complotto, al quale non sarà affatto semplice sfuggire. E se invece – peggio ancora – fossero valide entrambe le ipotesi al tempo stesso? 10 Cloverfield Lane è un thriller psicologico che si costruisce attorno a due spine dorsali fondamentali ed efficaci: l’incertezza e la paura. Lo spettatore si identifica immediatamente nella protagonista e, affrontando la vicenda dal punto di vista di Michelle, ne condivide passo dopo passo i timori, i dubbi, le risoluzioni, procedendo insieme a lei nel faticoso cammino verso la verità . Il tutto in un crescendo di tensione sapientemente orchestrato entro i ristretti confini del rifugio (un po’ l’appartamento di Rosemary’s Baby), nel quale la carta da parati a righe bianche e rosa e il juke box colorato risultano non meno soffocanti dello spazio angusto dei condotti di aerazione. La narrazione procede attraverso svolte che producono repentini e frequenti ribaltamenti di prospettiva in Michelle e parallelamente nello spettatore, continuamente sorpreso dall’inizio alla fine del film. È proprio alla fine della pellicola che si colloca la sorpresa più significativa: un vero e proprio cambiamento di genere. Con la delicatezza di un terremoto, infatti, 10 Cloverfield Lane si sposta dal terreno del thriller a quello della fantascienza. Un passaggio, questo, anticipato solo parzialmente e, soprattutto, gestito in maniera un po’ grossolana. L’impressione finale, infatti, è quella di due film differenti appiccati un po’ forzatamente l’uno all’altro. Il titolo richiama immediatamente alla memoria un altro film: si tratta di Cloverfield, diretto nel 2008 da Matt Reeves e co-prodotto da J. J. Abrams, sotto la cui egida 10 Cloverfield Lane pare collocarsi. Tra le due opere tuttavia, al di là della comune produzione di Abrams, non sembra intercorrere alcuna diretta relazione: il film 2016 non è nè un prequel, né un sequel o uno spin off del precedente, con il quale non condivide nemmeno il procedimento del found footage. Si tratta solo di un’abile mossa commerciale, tesa ad attirare l’attenzione? Le dichiarazioni in merito di Abrams sono ambigue. Se così fosse, però, non si potrebbe che ammettere che Abrams e i suoi hanno fatto centro.