A sei anni da Capitalism: a love story, Michael Moore presenta al Toronto International Film Festival Where to invade next e indaga le differenze tra i sistemi sociali, politici e didattici di numerose nazioni europee rispetto a quelli americani. In seguito a una introduzione alla Full Metal Jacket emerge l'idea cardine di Moore: farsi carico dell'invasione di diversi territori rubandogli tutte le idee migliori per portarle negli Stati Uniti, nazione di aspiranti egemoni da sempre assetati di innovazione e conquiste. Ogni tappa del tour diventa pretesto di rimprovero nei confronti degli USA, ma è anche l'occasione di far critica e stigmatizzare - anche se in maniera molto velata - il paese "invaso". Il lungo viaggio di conquista comincia proprio in Italia, alla quale Moore ruba l'idea delle "ferie pagate"; un diritto praticamente inviolabile, atto a garantire il benessere del lavoratore, ma che rafforza anche la nostra nomea di eterni vacanzieri scansafatiche. Passando dalla Francia il regista si appropria dell'attenzione per il mangiar bene, una pratica letteralmente insegnata fin dalla tenera età e che però fallisce miseramente davanti a una lattina di Coca Cola. L'idea di un'istruzione come priorità incrollabile invece che come business è invece sottratta a Finlandia e Slovenia, seppure il concetto di "compiti a casa" sia assolutamente obsoleto. E che dire del riguardo degli imprenditori tedeschi verso i propri dipendenti? O dei metodi atipici di riabilitazione vigenti in Norvegia? Cosa pensare poi del Portogallo e della droga; del governo tunisino; dell'Islanda. Una guerra strana, quella del regista americano, combattuta da un singolo uomo contro altri uomini; una battaglia senza armi che procede a suon di idee. Where to invade next insegna a guardare oltre e a conoscere non per conquistare e privare, ma per condividere e continuare a essere curiosi del mondo. Moore, che inizialmente dubita di riuscire anche soltanto a proporre agli Stati Uniti realtà per certi versi surreali come quella di un'università gratuita, alla fine del suo film si ricrede e con aria fiduciosa convince se stesso e gli altri che spesso le grandi idee non sono tabù indicibili e impraticabili. Basta semplicemente prendere il martello e abbattere il muro, che spesso non è così massiccio come ci fanno credere.